Verona piange il prof «Un innovatore unico, Veronesi ci mancherà»
Chi l’ha conosciuto lo ricorda per due aspetti: la preparazione scientifica e la grande umanità. A poche ore dalla morte di Umberto Veronesi, questa la testimonianza che emerge e che non cambia sentendo le personalità scaligere che hanno avuto a che fare con lui, sia per motivi scientifici, che personali. L’oncologo milanese era conosciuto in università, dove da sette anni è attivo un network di ricerca per «classificare» al meglio, ossia sotto il profilo genetico, i vari tipi di cancro: ArcNet. Una realtà che da sempre collabora con una delle «creature» di Veronesi, l’Associazione italiana ricerca sul cancro, di cui è stato a lungo mentore e testimonial. È Aldo Scarpa, ordinario di anatomopatologia all’università, che dirige il team, a ricordarlo: «Ho avuto il privilegio di conoscere Veronesi nei primi anni ’90, quando lavoravo al centro dei tumori di Tokyo. Non eravamo in stretta confidenza, ma per forza di cose ci parlavamo, essendo anche gli unici due italiani del gruppo. Per noi è stato una sorta di padre fondatore, un innovatore in diversi campi, pensiamo alla chirurgia per i tumori alla mammella. Al di là della sua importanza scientifica ha avuto una vita intensa, molto impegnata: non si tirava mai indietro dalle battaglie in cui credeva». «Ha dimostrato, dopo vent’anni di studi, che non c’era differenza di sopravvivenza tra la chirurgia demolitiva e quella conservativa — ricorda il professor Giampaolo Tortora primario di Oncologia Medica dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona —. È stato lui a ispirarmi, quand’ero ragazzo. Ho letto uno dei suoi primi libri, in cui raccontava di aver intrapreso questo mestiere perché gli erano rimaste impresse le campane a lutto del suo paese e il destino ha voluto che poi mi accompagnasse davvero per tutta la carriera. Era molto amico del mio primario dell’epoca all’ospedale Federico II di Napoli e mi ha sempre sostenuto negli studi sui nuovi farmaci molecolari, sia quando sono andato in America sia al mio rientro. Era nella giuria del premio Guido Venosta per giovani ricercatori e c’era quando sono stato premiato al Quirinale dal presidente Ciampi, nel 2000. Mi aveva offerto di andare a lavorare con lui all’Istituto europeo oncologico di Milano, che creò e sviluppò».
Un medico, Veronesi, che è rimasto impresso anche in un suo paziente scaligero, Antonio Borghesi, docente universitario di Economia, già parlamentare ed ex presidente della Provincia. «Umberto Veronesi - dice come tutti gli uomini che hanno avuto realmente qualcosa da dire, si è distinto anche per opinioni controverse. Io credo che, al di là delle valutazioni personali sia stato un grande italiano: ha contribuito al progredire della scienza non solo nel nostro Paese ma in tutto il mondo».
L’ultima volta che Veronesi era stato ospite in città risale al 2011. Era stato invitato dalla Camera di Commercio e dal Comitato per l’imprenditoria femminile a parlare delle «sfide delle donne nelle imprese». Un topic avulso dal suo campo di ricerca? «Può darsi - risponde Graziella Basevi, presidente del Comitato che organizzò l’evento - ma se la cavò benissimo e diede prova di essere realmente una persona colta nella sua semplicità. Non è una sviolinata di circostanza: fece a tutti quell’impressione». Il medico uscì con quella che può sembrare una provocazione: «Le donne sono superiori agli uomini, anche in economia». «Aveva fatto un ragionamento sulle fatiche a cui eravamo sottoposte a causa della crisi. Disse che le donne sono più lungimiranti, perché pensano anche a chi affideranno l’impresa quando non ci saranno più».