Inferno e morte in cisterna: la svolta «Non fu una fatalità», due imputati
Un rinvio a giudizio e un patteggiamento per l’esplosione di Arcole
Scoppia una cisterna ad Arcole: esplosione, inferno e sangue. Bilancio drammatico: un giovane operaio perde la vita all’istante, un altrettanto giovane collega rimane gravemente ferito ma miracolosamente sopravvive. Una tragedia datata 2 febbraio 2015: un anno e mezzo d’inchiesta, ieri la svolta con il rinvio a giudizio dell’ex proprietario della cisterna che dovrà rispondere a processo di omicidio colposo.
Ha invece patteggiato per lesioni colpose e mancata adozione delle necessarie misure di sicurezza il datore di lavoro, mentre è stato assolto in abbreviato il responsabile del servizio di prevenzione infortuni della ditta. Questo l’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta davanti al giudice Livia Magri: sotto accusa, si trovavano all’ex Mastino Cristian Frigo, ex proprietario della cisterna che quel maledetto giorno si è trasformata in una trappola mortale; Massimo Menci, responsabile della Menci & C. spa, datore di lavoro;Simone Gemini, delegato alla protezione infortuni e unico scagionato tra i tre indagati.
Hanno dunque trovato ascolto gli accorati appelli lanciati dalla famiglia della vittima all’indomani della tragedia: «Diteci la verità, vogliamo capire cosa sia veramente successo...» chiedeva Lucio, fratello di Angelo Ruggeri, morto a 33 anni perché l’esplosione di una di quelle cisterne che lui lavorava e manipolava da quando era un ragazzino lo ha scaraventato contro un muro, polverizzandogli gli organi interni. Ufficialmente vittima di un«incidente sul lavoro», Angelo. In realtà, stando a quanto emerso dalle indagini approfondite svolte negli scorsi mesi dalla procura scaligera, si sarebbe trattato di un evento evitabile. Tutto ruotava attorno a quella distruttiva esplosione che sulla via Padovana ad Arcole ha squassato il capannone della Menci spa, azienda fiorentina specializzata nella produzione di quelle cisternerimorchio. Era un’officina per la riparazioni delle otri d’acciaio che viaggiano sui camion, quella struttura di Arcole improvvisamente diventata come la pancia sventrata di un’officina in cui, prima di Angelo, lavorava anche suo padre. Già all’indomani dell’esplosione, in quel capannone posto sotto sequestro e dichiarato inagibile per i problemi di staticità che quella esplosione ha innescato, erano tornati i vigili del fuoco e i tecnici dello Spisal dell’Usl 20 per un sopralluogo che doveva andare a corroborare l’inchiesta aperta dalla procura. E i risultati, ieri, sono approdati in udienza preliminare: stando al pm, in particolare, l’ex proprietario della cisterna avrebbe «praticato un foro sul fondo della cisterna, senza aver chiesto la necessaria autorizzazione al ministero dei Trasporti, né averne ottenuto l’omologazione». Da quella «via di comunicazione tra atmosfera interna ed esterna», si innescò lo scoppio mortale.