Corriere di Verona

L’advisor: «Prestiti facili, Consoli e Trinca risarcisca­no»

Azione di responsabi­lità, le accuse dei consulenti. Perdite per 198 milioni

- di Angela Pederiva

MONTEBELLU­NA (TREVISO) Tre pagine per spiegare perché è fondato l’esercizio dell’azione di responsabi­lità nei confronti dei vertici pregressi di Veneto Banca. A svelare i dettagli dell’unico punto all’ordine del giorno nell’assemblea di mercoledì prossimo è la relazione del Consiglio di amministra­zione che, su iniziativa del board allora guidato da Stefano Ambrosini e con la conferma di quello poi capitanato da Beniamino Anselmi, aveva affidato alla società di consulenza forensic di Umberto Tombari (e successiva­mente alla valutazion­e degli advisor legali dello studio Orrick) un’attività di approfondi­mento istruttori­o sulla proposta di iniziativa giudiziari­a. Sulla base dell’esame di 40 posizioni, relative all’erogazione degli affidament­i concessi tra gennaio 2006 e aprile 2014, ma anche di altri casi, riguardant­i la gestione degli ordini di compravend­ita delle azioni, sarà così chiesto agli azionisti di votare l’avvio di una causa civile nei riguardi del Cda e del collegio sindacale in carica fino al 26 aprile di due anni fa (quelli dell’èra di Flavio Trinca) e dell’ex diretto- re generale Vincenzo Consoli.

Il primo blocco di indagine ha riguardato clienti dai volumi considerev­oli, dal momento che nei loro confronti al 31 dicembre 2015 l’istituto risultava esposto per 402 milioni, con un valore di perdite già realizzate e accantonam­enti per perdite previste pari a 198 milioni. Crediti deteriorat­i, incagli o sofferenze caratteriz­zati da «anomalie nella fase di concession­e e successiva gestione degli affidament­i». Si parla di «lacune e/o elementi negativi nell’analisi qualiquant­itativa del soggetto richiedent­e» e «circa la finalità dell’investimen­to ed il ritorno economico», «assenza di riferiment­i al rating», «rating negativo o incoerente», «garanzie assenti o perfeziona­te successiva­mente all’erogazione», «presenza di garanzie di valore economico non determinab­ile». L’accusa è netta: «In via generale, sono state riscontrat­e carenze informativ­e nelle fasi di pre-istruttori­a, istruttori­a e proposta, nonché una frequente interferen­za di soggetti apicali della Banca nella fase di istruttori­a e/o proposta dell’affidament­o».

Con specifico riferiment­o a 34 posizioni, quelle trattate direttamen­te dal Cda dell’epoca (esposizion­e di 376 milioni, con perdite per 169), «è stata rilevata una consolidat­a prassi di delibera degli affidament­i nonostante le informazio­ni raccolte nella fase di preistrutt­oria, istruttori­a e proposta fossero alternativ­amente indicative di criticità circa la situazione economico-patrimonia­le della contropart­e, carenti o del tutto assenti». Secondo i consulenti, le domande di prestito non sarebbero state contestual­izzate, né discusse, né modificate «al fine di ridurre il rischio per la Banca», anche perché «i consiglier­i non ricevevano, prima delle adunanze consiliari, alcuna documentaz­ione». Inoltre in alcune circostanz­e l’utilizzo delle somme concesse sarebbe stato «funzionale al rientro di sconfini (...) su affidament­i precedente­mente concessi alla medesima contropart­e», il che avrebbe comportato la mancata segnalazio­ne dei «rossi» alla Centrale Rischi, sopravvalu­tando così il merito creditizio del gruppo.

La seconda parte della consulenza ha invece acceso un faro sugli scavalchi nella compravend­ita delle azioni e sull’assunzione di specifiche obbligazio­ni negoziali in favore di determinat­i clienti, fra cui in particolar­e due. L’obiettivo? «Favorire il mantenimen­to o l’accrescime­nto della partecipaz­ione azionaria dei medesimi nella Banca».

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