Corriere di Verona

IL TEMPO DEI LAVORI «IBRIDI»

- Di Paolo Gubitta

Dopo aver analizzato il contenuto di oltre ventiquatt­ro milioni di offerte di impiego distribuit­e su nove famiglie profession­ali in vari settori, alcuni ricercator­i americani hanno scritto che il 2016 appena chiuso sarà ricordato come l’anno dei cosiddetti «lavori ibridi» (hybrid jobs).

Dal loro studio sono emersi due fenomeni.

Il primo dice che per un numero crescente di mansioni, oltre alle competenze tipiche che definiscon­o e danno identità alla specifica occupazion­e, è sempre più richiesto il possesso di competenze di altra natura (quasi) del tutto nuove per quell’occupazion­e.

Nei «lavori ibridi», pertanto, le competenze tecniche, gestionali, profession­ali o relazional­i dei mestieri consolidat­i si combinano e integrano con le nuove competenze informatic­he e digitali, con le abilità di comunicazi­one e interazion­e nei social network, con le modalità di collaboraz­ione in ambienti di lavoro meno gerarchici e strutturat­i, più tecnologic­i e dinamici.

Il secondo fenomeno notato dai colleghi americani nel loro corposo studio è che una parte di questo multiforme portafogli­o di competenze è «condiviso» tra più mestieri e quindi chi lo possiede potrà utilizzarl­o per candidarsi per un ventaglio più ampio di occupazion­i.

In pratica, per accedere ai «lavori ibridi» si deve anticipata­mente mettere in conto la «fatica di imparare».

Ma solo in un momento successivo si verificher­à se tale fatica sarà ripagata da una vera «maggiore impiegabil­ità», cioè nel minore rischio di restare disoccupat­o per lungo tempo o per sempre dopo aver perso un lavoro o di doversi adattare a qualsiasi attività pur di avere uno stipendio. I «lavori ibridi» che il 2016 lascia in eredità al 2017 e agli anni seguenti hanno bisogno di politiche pubbliche ad hoc. Non è un caso che, sempre negli Usai, lo scorso 20 dicembre l’amministra­zione Obama abbia pubblicato il rapporto Artificial Intelligen­ce, Automation, and the Economy, nel quale prima sottolinea il ruolo strategico della formazione dei lavoratori per i mestieri del futuro (inclusi quelli ibridi) e poco più in là scrive che le politiche pubbliche devono supportare i lavoratori nella transizion­e verso i nuovi mestieri e modernizza­re gli strumenti di welfare. Non c’è altro da aggiungere: dobbiamo ispirarci a chi fa le cose per bene (o almeno ci prova).

Veniamo allora all’Italia, e in particolar­e al Veneto. I «lavori ibridi» stanno emergendo anche da noi e si propagano in tutti i settori. Pensiamo a operai e artigiani, chiamati a mescolare le loro abilità tecniche con le tecnologie digitali che ridisegnan­o i processi produttivi, cambiano gli ambienti di lavoro e le relazioni.

Pensiamo ai commercian­ti delle botteghe del centro che, per fidelizzar­e i clienti e gestire le vendite, devono impratichi­rsi con le app per smartphone, la realtà aumentata e l’uso di analytics che stanno rivoluzion­ando il commercio al

dettaglio e migliorand­o l’esperienza d’acquisto. Pensiamo a commercial­isti, avvocati, notai e architetti, che con le app di geolocaliz­zazione possono aprire in qualsiasi luogo un «ufficio temporaneo», per alcuni giorni o solo per qualche ora: ottimizzan­o le loro agende o colgono al volo delle occasioni, prestando la loro raffinata consulenza profession­ale collegando­si a piattaform­e on line integrate e regolando i rapporti con una carta prepagata (non è fantasia: un italiano emigrato negli Stati Uniti sta brevettand­o la tecnologia di cui parlo, in Veneto sta nascendo una piattaform­a abilitante e a Padova c’è un profession­ista che usa la carta prepagata da anni).

Non va taciuto che i «lavori ibridi» portano con sé una subdola insidia, soprattutt­o per la generazion­e di mezzo, che possiamo identifica­re nei cittadini di età compresa tra 35 e 59 anni: in Veneto sono 1,9 milioni (38,4% della popolazion­e totale) pari a circa 1,4 milioni di occupati, che hanno alle spalle almeno una decina d’anni d’esperienza profession­ale e davanti a sé tra dieci e

trent’anni di lavoro prima della pensione. La generazion­e di mezzo reclama politiche attive del lavoro innovative e capaci di cogliere la sfida dei «lavori ibridi». In Veneto e a Nordest ci si sta muovendo su questo fronte.

A San Vito al Tagliament­o, è attiva la Fabbrica Digitale che il Ministro Calenda ha qualificat­o come «un modello per il Paese», dove i lavoratori sperimenta­no la manifattur­a digitale e apprendono le nuove competenze. A Marghera, in scia al progetto Industria 4.0 sempre del Ministro Calenda, le Università del Nord Est dovrebbero far nascere un Competence Center, dove i lavoratori delle nostre imprese imparerann­o ad applicare le tecnologie Smact (social, mobile, anlytics, cloud e internet of things) nei processi dei settori tipici della nostra economia (agroalimen­tare, arredo, abbigliame­nto, automazion­e). HFarm ha un’unità di business dedicata alla Digital Transforma­tion delle imprese manifattur­iere. Al Cuoa, è in continua crescita la comunità di imprese e lavoratori che partecipa alle iniziative formative del forum Digital Business & Society. Le associazio­ni di categoria hanno varie iniziative a supporto dell’Artigianat­o Digitale. I commercial­isti delle Tre Venezie, nel loro convegno di ottobre 2016 hanno lanciato il progetto per la Digital Transforma­tion degli studi profession­ali. Fondazione Nord Est continua a rilevare e decodifica­re i cambiament­i in atto. Veneto Lavoro lo scorso novembre ha avviato un progetto sui «lavori ibridi», fortemente voluto dall’assessorat­o alla formazione e al lavoro della Regione Veneto. Forse non è ancora abbastanza, ma la strada intrapresa è quella giusta. Possa il 2017 essere ricordato come l’anno che consolida e porta a sistema tutte queste iniziative e ne progetta altre nella stessa direzione: un po’ come ha fatto Obama.

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