Urne aperte anche a Vicenza, Rovigo e Belluno Rischio default, il governo prepara un decreto
Oggi in Veneto 5.409 amministratori comunali saranno chiamati a rinnovare i consigli provinciali di Padova, Vicenza, Rovigo e Belluno, oltre che quello di Verona. Ma come, si chiederà: le Province non dovevano essere abolite? Sì, cioè no, o meglio: trasformati dalla legge Delrio del 2014 in organi elettivi di secondo grado, dopo la vittoria del «No» al referendum dello scorso 4 dicembre gli enti di area vasta sono rimasti in Costituzione, tanto da giacere adesso in un limbo giuridico. Una condizione di incertezza normativa a cui si somma anche una crisi di sopravvivenza finanziaria: «O entro gennaio il governo emanerà un decreto per mettere in sicurezza i nostri bilanci, o questa volta saremo davvero costretti a dichiarare fallimento».
A dare voce all’allarme istituzionale è un coro trasversale di presidenti: da Achille Variati (Vicenza, Partito Democratico) a Stefano Marcon (Treviso, Lega Nord), passando per Enoch Soranzo (Padova, civiche di centrodestra). In ballo c’è il terzo colpo della mannaia calata dallo Stato sulle casse degli enti locali per il 2015, il 2016 ed appunto il 2017: in tutto 3 miliardi di prelievi, di cui 1 miliardo e 950 milioni sottratti dalle Province delle Regioni ordinarie. Per quelle venete si tratta, anche per quest’anno, del prosciugamento di circa 55 milioni. «Un conto insostenibile — afferma il vicentino Variati, che è anche numero uno nazionale dell’Unione province italiane — e non perché siamo dei carrozzoni mangiasoldi, ma in quanto abbiamo già raschiato il fondo del barile pur di continuare a garantire i servizi. Abbiamo usato tutti gli avanzi di amministrazione che ci erano rimasti, abbiamo rinegoziato i mutui, abbiamo attuato un meccanismo solidaristico nell’utilizzo dei fondi per la viabilità in modo da andare in soccorso a Rovigo e Belluno che erano quelle messe peggio di tutte. Ma più di così non possiamo fare». La riforma ha infatti lasciato agli enti di secondo livello, amministrati da sindaci e consiglieri comunali che non percepiscono alcun compenso aggiuntivo, la gestione di strade (7.000 chilometri in Veneto), scuole e ambiente. «È un po’ — esemplifica il padovano Soranzo, che è anche leader regionale dell’Upi — come se ad una famiglia da un lato venissero bloccate le entrate e dall’altro venissero continuamente imposti dei prelievi forzosi».
Dal ministero dell’Economia, il sottosegretario Pier Paolo Baretta conferma la volontà di correre presto ai ripari: «Non servirà tornare in parlamento, basterà un decreto ministeriale per ridurre l’importo di quanto i Comuni, le Province e le Regioni devono dare nel 2017 come concorso al bilancio dello Stato». Secondo le indiscrezioni romane raccolte dall’Upi, nel cosiddetto «fondone» da 960 milioni approvato dalle Camere verrebbero trovati i 650 milioni necessari ad azzerare lo sforzo chiesto agli enti di secondo livello per il terzo anno di fila. «Ma non basta», dice Variati.