Petrarca, la vita è una strada alla ricerca di verità e bellezza
per sé un ruolo centrale e affatto inedito, e Rico si rende ben conto che se gli eventi biografici non possono bastare a certificarne la grandezza, che dovremo riconoscere soprattutto nelle opere, nella loro cangiante diffusione, l’eco di questa coinvolge l’intera società europea del suo tempo, cosicché o la sua biografia si dilata in quella dell’epoca o si riduce a microsequenze di fatti specifici, in un moto oscillatorio che non ha fine.
Bisogna, dunque, che gli eventi siano illuminati ben al di là della loro cronaca e che neppure si riducano ad astratti e concettosi momenti simbolici: il risultato è questo aureo libriccino scritto a quattro mani dov’è costantemente presente accanto al senso letterale un altro, persino più vitale, non imposto da una progettualità allegorica, ma letteralmente inscindibile dal precedente.
In questo modo i venerdì di Petrarca non diventano tracce di una piccola superstizione che proietta sul nostro futuro la livida luce di quel che ha veduto, quanto l’immediata certificazione del mistero che si nasconde nella vita e nella storia, il costante riproporsi di ulteriori interrogativi di fronte agli eventi e l’insoddisfazione di qualsiasi incompiuta risposta.
Se la questione è prima di tutto ed essenzialmente morale poco conta perdersi nella precisione dei riferimenti cronologici o delle coordinate geografiche, non c’è fine al tormento della ricerca e tanto meno alla «sublime nevrosi petrarchesca di riscriversi senza posa» che ha segnalato Marco Santagata e che conferma puntualmente l’idea che lo scrittore viva più pienamente nella sua scrittura che nella realtà.
Sta, infatti, nell’incoronazione in Campidoglio del poeta laureato l’annuncio solenne e definitivo del nuovo ruolo che Petrarca ha fatto suo e il mondo ha dovuto riconoscergli persino in un momento critico com’è quello che l’Europa e la cristianità stanno attraversando, nel quale si rinnova ogni giorno il rimpianto della grandezza di Roma di fronte alla miseria presente, che acquisterà drammatica concretezza di fronte al dilagare dell’epidemia della peste nel 1348.