«Trump salutare secchiata gelata Ma l’uscita dall’euro choc insopportabile»
La Brexit come il primo annuncio di tempesta. Caricatasi via via fino a trasformarsi in un tornado in piena regola, con il moltiplicarsi in rapida successione delle situazioni che in passato si sarebbero viste come il varcare le colonne d’Ercole. Dall’elezione alle presidenziali statunitensi di Donald Trump, con le prime dirompenti decisioni e la radicale svolta in senso protezionistico, alla cancelliera tedesca Angela Merkel che ammette la possibilità di un futuro europeo a due velocità. Fino alla leader della destra francese Marine Le Pen che promette una Brexit-2 in salsa francese, già ribattezzata Frexit, in caso di vittoria alle prossime elezioni politiche. Un quadro che costringe il presidente Bce, Mario Draghi, a scendere in prima linea in difesa di un euro visto come sempre più minacciato.
Uno sconvolgimento totale nei parametri fondamentali del mondo globalizzato, pericolosissimo per un piccolo angolo di mondo come il Nordest, per cui muoversi all’estero ha equivalso in questi anni al salvataggio di un’intera economia. Tradotto in cifre, 78,6 miliardi
Luciano Vescovi Spero che il Presidente svegli un Paese che sembra ancora dormire
Maria Cristina Piovesana L’uscita della Francia equivarrebbe alla distruzione dell’Europa
di prodotto interno lordo nel 2016, sui 216,4 totali. Sconvolgimento che si aggiunge come un enorme fattore d’incertezza sulla capacità di estrarre ricchezza dall’estero, dopo la frenata della crescita dell’export dello scorso anno, ridottosi a un +1,1%. Le preoccupazioni non mancano. Arrivano, per dire, dal distretto dell’articolo sportivo di Montebelluna, dove il presidente di Assosport, Luca Businaro, quantifica in una contrazione del 15% dell’export sportivo verso gli Stati Uniti la combinazione «di un dollaro debole e l’introduzione di dazi statunitensi» e chiede l’intervento dell’Unione europea.
Ma la miscela esplosiva sul fronte estero rimbalza anche a Vicenza, tra le pareti di palazzo Bonin Longare, nella presentazione del Rapporto Nordest. Lo cita il leader degli artigiani regionali e portavoce del think tank delle categorie «Arsenale 2022», Agostino Bonomo. E magari c’è anche chi prova a guardare il bicchiere mezzo pieno. «Troppo presto per esprimere un giudizio su Donald Trump - dice il leader di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi -. Ma almeno avrà l’effetto positivo di una secchiata gelata in testa, che spero contribuirà a dare una svegliata a questo Paese che sembra dormire. E che pensa di potersi ancora permettere di poter discutere, di fronte a questi sconvolgimenti, di esiti di referendum e premi di maggioranza».
Ma se l’ottica si sposta sull’uscita dall’euro il no si fa deciso. Sarà che la platea di chi segue la Fondazione Nordest è fatta di imprenditori che cercano una visione di più ampio respiro e sono abituati a lavorare con l’estero. «Uscire dall’euro? Sono assolutamente contrario - replica ad esempio l’ex presidente di Confindustria Veneto, Massimo Pavin, stabilimenti in Europa, Usa e Brasile con la sua Sirmax -. Condivido le parole di Draghi, l’euro è un nostro valore. La soluzione al problema non può essere andarsene». Una linea non diversa da quella espressa dalla leader di Confindustria Treviso, Maria Cristina Piovesana: «L’uscita della Francia equivarrebbe alla distruzione dell’Europa. Per quel che ci riguarda con il nostro debito pubblico non potremmo reggere lo choc indotto da un’uscita dall’euro. Serve senso di responsabilità verso le istituzioni europee e la richiesta di una politica economica più chiara».
Intanto, però, proprio l’immobilismo italiano sulla montagna del debito pubblico, pur di fronte alle concessioni di una politica accomodante della Bce, fornisce ai partner europei alibi sufficienti contro le richieste italiane di una linea più espansiva in economia. «Magari, però un pezzo di strada lo abbiamo comunque fatto è la replica di Piovesana -. Prendete i dati del Veneto: non siamo fermi».
E proprio sulle questioni aperte di fronte al Nordest la leader di Confindustria Treviso si schiera sulla linea dettata dal presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca: «È corretto quanto ha detto qui a Vicenza, che una crescita all’1,1 per cento non basta, che l’obiettivo dev’essere almeno il 3 per cento. È la soglia per mantenere la coesione sociale, per ridare opportunità ai giovani e, se vogliamo, rimettere in moto anche quell’ascensore sociale che risulta bloccato ormai da tempo».