«Le banche venete? Una storia dell’orrore A settembre la fusione»
«Entro febbraio saprete tutto». Alessandro Penati, presidente di Quaestio, la Sgr che gestisce il Fondo Atlante, ha risposto così, ieri, a Milano, alle domande sul futuro di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ma parlava dei dettagli perché il tracciato, in modo chiaro e senza risparmiare giudizi laterali, lo ha descritto subito dopo.
Fusione entro settembre, ha detto, con la previsione di un aumento di capitale in cui lo Stato avrà una quota di minoranza. Il piano si rivelerà un successo nell’arco di tre anni ed è irritante che sullo stesso sia più fiduciosa la Bce che gli stessi soci di Atlante i quali, a pochi mesi dall’adesione, hanno svalutato notevolmente le loro quote.
«È una cosa che mi fa imbestialire. Anziché supportarmi mi votano contro». Penati non ha fatto nomi ma il riferimento è evidentemente ad Unicredit e Intesa Sanpaolo ed a scelte da lui percepite come un segnale di assenza di lungimiranza. Eppure, nello sguardo del presidente, quanto Atlante sta facendo ha del miracoloso.
«Il fondo è nato e si è comperato le ex popolari venete in Ipo con numeri che erano da libro dei sogni, ridicoli. Qui c’è una responsabilità mica da ridere». Tradotto, gli aumenti di capitale sostenuti da Atlante all’inizio dell’estate per ottenere il controllo pressoché totale di Veneto Banca e Popolare Vicenza, nell’ordine per 1 e 1,5 miliardi, si sono rivelati largamente insufficienti. Man mano che si studiavano i conti, insomma, emergevano sofferenze e crediti deteriorati in una progressione impressionante.
«Scava scava – dice - e diventa una horror story». Ad esempio, in materia di «scavalcati», nella gestione della vendita delle azioni: ieri il vicedirettore di Bpvi, Adriano Cauduro, difendendosi da sospetti sul suo conto nati in seguito
ad un audit interno, ha sostenuto di aver proposto nel 2012 la revisione dell’impianto per la gestione delle azioni emesse e che la sua proposta
«venne accolta e immediatamente attuata».
Il quadro clinico di oggi, tornando alla diagnosi di Penati, è ben lontano dal far uscire i pazienti dalla rianimazione ma di sicuro non si tratta di due cadaveri.
«Abbiamo due banche che erano praticamente fallite e che sarebbero andate dritte in risoluzione da cui invece, in nove mesi, il fondo è riuscito a sottrarle. Porteremo in tre anni gli istituti ad avere dei ratio che saranno i migliori d’Italia, e infine faremo la fusione. Francoforte ci dice già di ragionare come se fosse un’unica banca, il che non è stato semplice, e io lo considero un enorme successo».
Riassumendo, le due ex popolari venete manifestano ancora rischi operativi molto alti, al punto di decidere di emettere, pochi giorni fa, obbligazioni garantite dallo Stato per 6,5 miliardi (3,5 Montebelluna e tre Vicenza) ma gli step da compiere sono chiari. Prima le ristrutturazioni, poi le pulizie su sofferenze e crediti deteriorati – cartolarizzazione delle prime, gestione in casa attraverso due società separate, due sorti di bad company, per i crediti deteriorati meno problematici, visti i prezzi molto modesti praticabili sul mercato - e, infine, la convergenza in un unico soggetto. «Ho ragione di credere che tutto andrà in porto e se avverrà in un anno sarà un record».
Questo considerando poi che le risorse di Atlante II, cioè gli oltre 1,7 miliardi inizialmente destinati ad acquistare le sofferenze di Mps potranno essere riversati sulle banche venete. Infine c’è il tema dell’intervento di «ricapitalizzazione precauzionale» da parte dello Stato. Il quale «deve essere fatto in modo giusto, ossia con un intervento temporaneo in minoranza per permettere di eseguire un piano e dare garanzie alla Bce». Forse attraverso un bond da due miliardi per raggiungere la soglia ritenuta idonea a mettere in sicurezza le due banche.