In cella i predoni delle gioiellerie
L’operazione della Mobile avviata dopo il colpo a Veronetta: sei in cella
Il copione era sempre lo stesso: due auto di grossa cilindrata e poi i blitz rapidissimi per svaligiare le gioiellerie di mezza Italia. La squadra mobile ha arrestato sei persone ritenute responsabili anche del colpo messo a segno nel febbraio di 2 anni fa a Veronetta.
A tradirli è stato uno sfregio. Una riga profonda nella carrozzeria di uno dei due «bolidi» che utilizzavano per spostarsi in tutta Italia e mettere a segno i loro colpi. Una banda di professionisti, residenti nei campi nomadi della Capitale e del Napoletano, diventata l’«incubo» dei gioiellieri. Basti pensare che, in meno di due settimane, nel febbraio del 2015, era riuscita a mettere a segno tre furti per un bottino da 1,5 milioni.
Il primo della serie, nella notte tra l’1 e il 2 febbraio di due anni fa, nel pieno cuore di Veronetta, in via San Nazaro. Una manciata di minuti per scardinare la pesante saracinesca della gioielleria Stevanella, sfondare le vetrine con mazze e mattoni e darsi alla fuga con anelli, collane e catenine per un valore di circa 150mila euro. Quattro uomini con volti coperti e guanti per non lasciare impronte. Le indagini della squadra mobile si sono concentrate da subito sull’analisi dei filmati delle telecamere della zona che avevano inquadrato due station wagon arrivare e ripartire in orario compatibile con quello della spaccata.
«Si trattava di una Mercedes Amg e di un’Audi S4. Una volta risaliti ai numeri di targa, abbiamo scoperto che erano targhe rubate la sera stessa a Sona, in un parcheggio» ha spiegato il dirigente della Mobile scaligera, Roberto Di Benedetto. Un’indagine tutt’altro che semplice quella coordinata dai pm Bianca Rinaldi e Valeria Ardito. Nel giro di pochi giorni, si è poi estesa ad altre regioni: altri due colpi messi a segno con le identiche modalità alla gioielleria A.R. di Prato (il 15 febbraio) e alla gioielleria Curnis di Bergamo (il 16 febbraio, utilizzando un’auto rubata come «ariete» per sfondare le vetrine). E sempre i due bolidi con le targhe rubate.
Così, il Servizio centrale operativo di Roma ha deciso di coordinare un pool di investigatori delle squadre mobili delle tre province interessate, impegnati a risalire alle identità dei componenti del commando. La svolta è arrivata da un’immagine catturata dalle telecamere di Verona il 31 gennaio 2015, pochi giorni prima del colpo alla gioielleria di Veronetta. Nei frame compariva la stessa Mercedes Amg immortalata nella notte della spaccata: modello poco diffuso e sfregio sulla carrozzeria, all’altezza della ruota posteriore sinistra. «E il 31 gennaio la targa era quella originale – ha proseguito Di Benedetto -. Siamo risaliti alla proprietaria: una donna residente a Roma che risultava proprietaria di un centinaio di vetture». Il più classico dei «prestanome». Ma la stessa vettura era stata fermata nella Capitale per un controllo di routine e all’interno erano stati trovati due nomadi poi identificati.
Così è scattata tutta una serie di attività investigative con intercettazioni telefoniche che hanno consentito di ricostruire la rete della banda. E di scoprire che tra aprile e maggio del 2015 le stesse due auto erano partite da Roma per mettere a segno altre tre spaccate in altrettante gioiellerie di Pedaso (Ascoli Piceno), Milano Marittima (Ravenna) e Pulsano (Taranto). Con ogni probabilità la refurtiva veniva immediatamente «piazzata» nelle ore successive ai furti.
Nei giorni scorsi il gip di Verona Laura Donati ha emesso sei ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di sei persone: si tratta di Jubo Adzovic, Feta Bajrami, Leonardo Prokuplja, Almir Suljevic e il fratello Avdija; insieme a Katalin Ruszka, l’unica donna del gruppo residente a Bussolengo. Una basista che aveva effettuato sopralluoghi alla gioielleria Stevanella prima del furto. I sei sono stati arrestati mercoledì, ma l’indagine prosegue.
La mappa
Sei i furti contestati finora: oltre a Verona, Bergamo, Prato, Ascoli, Ravenna e Taranto