Corriere di Verona

Permessi umanitari ai nomadi Decine di casi in Veneto, è scontro

A Vicenza la giunta dem si divide: «Un errore». Ma la Caritas: «Vanno difesi»

- Andrea Alba

È ancora sospeso il giudizio della commission­e prefettizi­a di Vicenza sulla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari chiesto dalla Caritas per la famiglia di nomadi bosniaci Halilovic. Scelta che ha spaccato la giunta di centrosini­stra guidata da Achille Variati (Pd), soprattutt­o perché il capofamigl­ia, Kemo Halilovic, quello stesso permesso lo aveva già ma se l’è visto revocare dopo la sfilza di precedenti penali e arresti accumulati dal 2003 al 2014. Da una parte il vicesindac­o Jacopo Bulgarini su Facebook parla di episodio «sconcertan­te, inaccettab­ile, un raggiro della legge e un insulto verso un tema difficilis­simo»; dall’altra l’assessore al Sociale, Isabella Sala, ricorda: «L’inclusione passa per i permessi di soggiorno». In mezzo la diplomazia del capogruppo del Pd in Regione, Stefano Fracasso: «Bisogna valutare caso per caso, non si può generalizz­are. E comunque il tema è regolato da una legge dello Stato, non da una disciplina regionale nè comunale».

La Caritas è scesa in campo perché la famiglia in questione ha sei figli, tre dei quali afflitti da gravi disabilità motorie e psichiche. Formalment­e bosniaci, in realtà i ragazzi sono nati e cresciuti in Italia, perché i genitori anni fa hanno ottenuto dalla prefettura di Vicenza proprio il permesso di soggiorno per motivi umanitari. «Viene concesso quando i richiedent­i, se rimpatriat­i nel Paese d’origine, vedrebbero violati i diritti fondamenta­li, come quello alla dignità o alla non discrimina­zione — spiega il legale a cui la Caritas si è appoggiata —. La norma lo prevede anche nel caso in cui un soggetto particolar­mente fragile nell’ipotesi del rimpatrio si troverebbe senza contatti, senza saper parlare la lingua, esposto al rischio di isolamento umano. La prefettura può rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari valido due anni, che consente allo straniero di mettersi in regola, di trovare lavoro, di ricevere l’assistenza sanitaria».

I fratelli Halilovic hanno intrapreso l’iter davanti alla stessa commission­e che rilascia i permessi ai profughi perché alcuni di loro sono diventati maggiorenn­i: prima, a regolarizz­arne la posizione bastava il permesso di soggiorno dei genitori. Secondo la Caritas il rientro in Bosnia porterebbe a una discrimina­zione di fatto. Le disabilità sarebbero infatti particolar­mente gravi: una delle sorelle, ipovedente e con problemi psichici, è ospite in una struttura protetta. A chi poi si chiede perché non si proceda con la regolarizz­azione «classica», ricorrendo cioè alla legge Bossi-Fini, l’avvocato replica: «Al momento questa è l’unica forma di regolarizz­azione possibile delle loro posizioni: il decreto flussi attualment­e non prevede ingressi in Italia».

Non è un caso unico in Veneto. Dieci domande di permesso di soggiorno per motivi umanitari a favore di Rom bosniaci sono state presentate negli anni scorsi alla prefettura di Verona, ottenendo riscontro positivo. Si trattava sempre di soggetti vulnerabil­i: minori con deficit psichici, ragazze vittime di violenze, famiglie a rischio discrimina­zione. Altri due casi, inoltrati nei mesi scorsi alla commission­e prefettizi­a di Padova, riguardano una coppia e una famiglia di Venezia. «La prima pratica è stata rigettata — dice il responsabi­le della commission­e, Antonello Roccoberto­n — perché gli interessat­i provengono dalla Serbia, Paese oggi non in situazione drammatica. E poi la coppia non è soggetta a persecuzio­ni o ad altri pericoli. Sul secondo caso invece il giudizio è sospeso in attesa di ulteriori approfondi­menti, perché riguarda una famiglia con minori».

Apripista era però stata nel 2000 l’«Opera Nomadi», associazio­ne che ora ha chiuso i battenti. «All’epoca abbiamo fatto di tutto per far ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari a Marienka, una ragazza serba di 26 anni ridotta in sedia a rotelle da una malattia degenerati­va — racconta la ex presidente dell’associazio­ne, Renata Paolucci —. Era arrivata in Italia da piccola con la nonna che l’accudiva ma che poi è morta, lasciandol­a sola. Marienka era stata accolta nel campo nomadi di Padova, viveva in una roulotte e si manteneva chiedendo l’elemosina davanti all’Ovs. Quando le hanno negato il permesso di soggiorno, nel giro di due giorni è sparita. So che i nomadi non incontrano le simpatie della gente, ma non sono tutti ladri come si crede. I serbi sono lavoratori, vivono nel rispetto delle regole, si mettono in lista per una casa popolare. Tante famiglie negli anni ‘90 sono scappate in Italia durante la guerra nella ex Jugoslavia, che le ha costrette a vedere e a subire violenze terribili».

La Caritas

Stiamo cercando di tutelare i sei figli, alcuni con disabilità gravi, di una coppia già in regola

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy