Permessi umanitari ai nomadi Decine di casi in Veneto, è scontro
A Vicenza la giunta dem si divide: «Un errore». Ma la Caritas: «Vanno difesi»
È ancora sospeso il giudizio della commissione prefettizia di Vicenza sulla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari chiesto dalla Caritas per la famiglia di nomadi bosniaci Halilovic. Scelta che ha spaccato la giunta di centrosinistra guidata da Achille Variati (Pd), soprattutto perché il capofamiglia, Kemo Halilovic, quello stesso permesso lo aveva già ma se l’è visto revocare dopo la sfilza di precedenti penali e arresti accumulati dal 2003 al 2014. Da una parte il vicesindaco Jacopo Bulgarini su Facebook parla di episodio «sconcertante, inaccettabile, un raggiro della legge e un insulto verso un tema difficilissimo»; dall’altra l’assessore al Sociale, Isabella Sala, ricorda: «L’inclusione passa per i permessi di soggiorno». In mezzo la diplomazia del capogruppo del Pd in Regione, Stefano Fracasso: «Bisogna valutare caso per caso, non si può generalizzare. E comunque il tema è regolato da una legge dello Stato, non da una disciplina regionale nè comunale».
La Caritas è scesa in campo perché la famiglia in questione ha sei figli, tre dei quali afflitti da gravi disabilità motorie e psichiche. Formalmente bosniaci, in realtà i ragazzi sono nati e cresciuti in Italia, perché i genitori anni fa hanno ottenuto dalla prefettura di Vicenza proprio il permesso di soggiorno per motivi umanitari. «Viene concesso quando i richiedenti, se rimpatriati nel Paese d’origine, vedrebbero violati i diritti fondamentali, come quello alla dignità o alla non discriminazione — spiega il legale a cui la Caritas si è appoggiata —. La norma lo prevede anche nel caso in cui un soggetto particolarmente fragile nell’ipotesi del rimpatrio si troverebbe senza contatti, senza saper parlare la lingua, esposto al rischio di isolamento umano. La prefettura può rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari valido due anni, che consente allo straniero di mettersi in regola, di trovare lavoro, di ricevere l’assistenza sanitaria».
I fratelli Halilovic hanno intrapreso l’iter davanti alla stessa commissione che rilascia i permessi ai profughi perché alcuni di loro sono diventati maggiorenni: prima, a regolarizzarne la posizione bastava il permesso di soggiorno dei genitori. Secondo la Caritas il rientro in Bosnia porterebbe a una discriminazione di fatto. Le disabilità sarebbero infatti particolarmente gravi: una delle sorelle, ipovedente e con problemi psichici, è ospite in una struttura protetta. A chi poi si chiede perché non si proceda con la regolarizzazione «classica», ricorrendo cioè alla legge Bossi-Fini, l’avvocato replica: «Al momento questa è l’unica forma di regolarizzazione possibile delle loro posizioni: il decreto flussi attualmente non prevede ingressi in Italia».
Non è un caso unico in Veneto. Dieci domande di permesso di soggiorno per motivi umanitari a favore di Rom bosniaci sono state presentate negli anni scorsi alla prefettura di Verona, ottenendo riscontro positivo. Si trattava sempre di soggetti vulnerabili: minori con deficit psichici, ragazze vittime di violenze, famiglie a rischio discriminazione. Altri due casi, inoltrati nei mesi scorsi alla commissione prefettizia di Padova, riguardano una coppia e una famiglia di Venezia. «La prima pratica è stata rigettata — dice il responsabile della commissione, Antonello Roccoberton — perché gli interessati provengono dalla Serbia, Paese oggi non in situazione drammatica. E poi la coppia non è soggetta a persecuzioni o ad altri pericoli. Sul secondo caso invece il giudizio è sospeso in attesa di ulteriori approfondimenti, perché riguarda una famiglia con minori».
Apripista era però stata nel 2000 l’«Opera Nomadi», associazione che ora ha chiuso i battenti. «All’epoca abbiamo fatto di tutto per far ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari a Marienka, una ragazza serba di 26 anni ridotta in sedia a rotelle da una malattia degenerativa — racconta la ex presidente dell’associazione, Renata Paolucci —. Era arrivata in Italia da piccola con la nonna che l’accudiva ma che poi è morta, lasciandola sola. Marienka era stata accolta nel campo nomadi di Padova, viveva in una roulotte e si manteneva chiedendo l’elemosina davanti all’Ovs. Quando le hanno negato il permesso di soggiorno, nel giro di due giorni è sparita. So che i nomadi non incontrano le simpatie della gente, ma non sono tutti ladri come si crede. I serbi sono lavoratori, vivono nel rispetto delle regole, si mettono in lista per una casa popolare. Tante famiglie negli anni ‘90 sono scappate in Italia durante la guerra nella ex Jugoslavia, che le ha costrette a vedere e a subire violenze terribili».
La Caritas
Stiamo cercando di tutelare i sei figli, alcuni con disabilità gravi, di una coppia già in regola