ACCOGLIERE MA CASO PER CASO
Da un lato ci sono un paio di autorevoli esponenti della Giunta comunale di Vicenza (progressista) che litigano. Dall’altro, un clima ostile sempre più diffuso sull’onda del trumpismo che sfocia nella chiusura totale verso l’immigrazione. In mezzo c’è la famiglia di nomadi bosniaci Halilovic e la Caritas che ha chiesto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Scelta che ha spaccato la giunta di centrosinistra guidata dal democratico Achille Variati. Pomo della discordia: il capofamiglia Kemo Halilovic che si è visto revocare il permesso a causa della sfilza di precedenti penali e arresti dal 2003 al 2014.
Tra il vicesindaco Jacopo Bulgarini che parla di episodio «sconcertante, inaccettabile, un raggiro della legge e un insulto verso un tema difficilissimo» e l’assessore al Sociale Isabella Sala che replica «l’inclusione passa per i permessi di soggiorno», ha ragione da vendere un altro progressista, il capogruppo del Pd in Regione Stefano Fracasso. Che consiglia: «Bisogna valutare caso per caso, non si può generalizzare. Il tema è regolato da una legge dello Stato non da una disciplina regionale o comunale».
Dunque, per trovare la quadra sul caso Halilovic, occorre pragmatismo dal punto di vista legislativo e non farsi ammaliare dal buonismo di maniera. La verità è che la famiglia Halilovic ha sei figli, tre dei quali colpiti da gravi disabilità motorie e psichiche.
Bosniaci sulla carta, in realtà i ragazzi sono nati e cresciuti in Italia, i genitori in passato hanno ottenuto proprio a Vicenza il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Eppure non si può trascurare la vita del capo-famiglia, il padre dei ragazzi, Kemo. Che ha una ‘discreta’ fedina penale. Possono i figli pagare le sue colpe? Accoglienti ma non fessi. Questo potrebbe essere il motto e lo spirito con cui affrontare la vicenda, una via di mezzo tra il welfare e il rigore.
In verità siamo lontani dal contesto degli anni Novanta: migliaia di famiglia bosniache, serbe, macedoni scapparono in Italia durante la guerra nella ex Jugoslavia, portandosi dietro violenze atroci e diritti negati.
Oggi trionfa il caos. In questa storia c’è una forte componente emotiva, è vero, ma sotto il profilo legislativo, le peripezie degli Halilovic pongono un caso il cui profilo riguarda sì la legge Bossi-Fini ma è rilevante anche una questione al momento irrisolta: la famiglia di nomadi può essere o no oggetto di discriminazioni o pericoli nel Paese di origine una volta rimpatriata? Esistono dei precedenti. Dieci domande di permesso di soggiorno per motivi umanitari a favore di Rom bosniaci sono state presentate in passato alla prefettura di Verona con un riscontro positivo. Sullo sfondo, sempre profili a rischio: minori con deficit psichici, ragazze vittime di violenze, famiglie fortemente discriminate. Valutare caso per caso, ecco una possibile soluzione. Con un distinguo: accoglienti ma non fessi.