«Il cattivo italiano? La colpa è anche delle università» In 85 firmano la contro-lettera della linguista padovana
Botta e risposta tra accademici. «Pure i docenti non sanno la lingua»
Botta e risposta tra accademici, sulla (brutta) strada imboccata dalla lingua italiana.
La settimana scorsa ha fatto discutere la lettera-appello sottoscritta da 600 docenti delle università italiane, che spiega come ormai moltissimi giovani non conoscano la grammatica. Per questo, i firmatari chiedono al governo di correre ai ripari. «È chiaro ormai da molti anni – si legge - che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana…».
Fin qui la presa di posizione di questo esercito i docenti e intellettuali, tra i quali spiccano nomi illustri, da Massimo Cacciari a Ernesto Galli della Loggia, fino a Ilvo Diamanti.
A fare da contraltare, da qualche giorno sta circolando un secondo documento, stavolta scritto dalla professoressa Maria Giuseppa Lo Duca, una vita spesa a insegnare nelle scuole del Veneto, dalle medie di Vigonza, ai licei scientifici «Nievo» e «Cornaro», della città del Santo, fino all’Università di Padova. Finora la sua contro-lettera è stata sottoscritta da un centinaio di colleghi, come il linguista padovano Michele Cortelazzo e l’esperta di glottologia dell’ateneo veronese Serena Dal Maso.
Lo Duca spiega così il suo «parziale dissenso» nei confronti dell’appello rivolto al governo: «La lettera attribuisce al ciclo dell’obbligo la causa dell’incerto uso della lingua scritta da parte dei giovani. L’idea sottostante è che la lingua nel suo apparato formale si debba insegnare ed apprendere nei primi anni, quelli che vanno grosso modo dai 6 ai 14 anni. Quello che avviene dopo non sembra interessare i firmatari della lettera». È proprio questo che alla linguista non va giù: «In realtà l’apprendimento soprattutto delle abilità complesse che sottostanno alla stesura di un testo scritto formale, non si dà una volta per tutte: è un processo lungo e complesso, che riguarda tutta la vita scolastica di un individuo, starei per dire tutta la vita di un individuo».
Insomma, relegare agli insegnanti di elementari e medie il compito di insegnare la lingua italiana è sbagliato. Ma è ciò che sta accadendo con un «progressivo allentamento dell’investimento sulla lingua italiana» nei licei e (ancora di più) negli atenei. Il risultato? «Sono stati qua e là attivati in gran fretta corsi di recupero, ma l’università non investe nelle abilità linguistiche dei giovani, con didattiche mirate e specifiche». E nessuno sembra preoccuparsene perché «all’università si scrive poco, e non si corregge quasi mai: al massimo si rilevano, e si valutano, gli errori di contenuto, e ci si scandalizza del resto».
L’analisi della professoressa padovana - che vanta collaborazioni con L’Accademia della Crusca e con l’Associazione per la storia della lingua italiana restituisce un quadro impietoso. Perché anche chi sogna, un giorno, di fare il docente, si trova alle prese con «piani di studio che non prevedono neppure insegnamenti quali “Lingua italiana” e “Grammatica italiana” (...) che dovrebbero essere centrali nella formazione del futuro insegnante di lingua (...). E così il cerchio si chiude: l’università viene meno ad una delle sue ragioni di essere, e mentre discute con grande passione su quali e quanti insegnamenti tenere in lingua inglese, consegna alla società laureati impreparati, nella stragrande maggioranza dei casi, a insegnare adeguatamente la lingua italiana nelle scuole».
Al Corriere del Veneto, Maria Giuseppa Lo Duca spiega di essersi stupita del successo ottenuto dalla sua contro-lettera e da quanti colleghi l’abbiano sottoscritta. «Molti docenti hanno conoscenze linguisticogrammaticali che risalgono a quando frequentavano la scuola elementare e media, e quindi a 30 o addirittura a 50 anni fa.Ma l’Italiano è in evoluzione, e i modelli linguistici utilizzati sui social, in televisione e su internet non si possono ignorare. E se i futuri insegnanti non vengono formati a una conoscenza scientifica della lingua, come potranno spiegarla ai loro studenti? È un circolo vizioso dal quale è necessario uscire».
La soluzione è una soltanto: «Occorre investire nello studio dell’Italiano e della grammatica moderna in tutte le fasi della formazione scolastica: dalle elementari fino all’università.
Maria Giuseppa Lo Duca Occorre investire nello studio dell’Italiano in tutte le fasi della formazione scolastica