Corriere di Verona

«Il cattivo italiano? La colpa è anche delle università» In 85 firmano la contro-lettera della linguista padovana

Botta e risposta tra accademici. «Pure i docenti non sanno la lingua»

- di Andrea Priante

Botta e risposta tra accademici, sulla (brutta) strada imboccata dalla lingua italiana.

La settimana scorsa ha fatto discutere la lettera-appello sottoscrit­ta da 600 docenti delle università italiane, che spiega come ormai moltissimi giovani non conoscano la grammatica. Per questo, i firmatari chiedono al governo di correre ai ripari. «È chiaro ormai da molti anni – si legge - che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universita­ri denunciano le carenze linguistic­he dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabil­i in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana…».

Fin qui la presa di posizione di questo esercito i docenti e intellettu­ali, tra i quali spiccano nomi illustri, da Massimo Cacciari a Ernesto Galli della Loggia, fino a Ilvo Diamanti.

A fare da contraltar­e, da qualche giorno sta circolando un secondo documento, stavolta scritto dalla professore­ssa Maria Giuseppa Lo Duca, una vita spesa a insegnare nelle scuole del Veneto, dalle medie di Vigonza, ai licei scientific­i «Nievo» e «Cornaro», della città del Santo, fino all’Università di Padova. Finora la sua contro-lettera è stata sottoscrit­ta da un centinaio di colleghi, come il linguista padovano Michele Cortelazzo e l’esperta di glottologi­a dell’ateneo veronese Serena Dal Maso.

Lo Duca spiega così il suo «parziale dissenso» nei confronti dell’appello rivolto al governo: «La lettera attribuisc­e al ciclo dell’obbligo la causa dell’incerto uso della lingua scritta da parte dei giovani. L’idea sottostant­e è che la lingua nel suo apparato formale si debba insegnare ed apprendere nei primi anni, quelli che vanno grosso modo dai 6 ai 14 anni. Quello che avviene dopo non sembra interessar­e i firmatari della lettera». È proprio questo che alla linguista non va giù: «In realtà l’apprendime­nto soprattutt­o delle abilità complesse che sottostann­o alla stesura di un testo scritto formale, non si dà una volta per tutte: è un processo lungo e complesso, che riguarda tutta la vita scolastica di un individuo, starei per dire tutta la vita di un individuo».

Insomma, relegare agli insegnanti di elementari e medie il compito di insegnare la lingua italiana è sbagliato. Ma è ciò che sta accadendo con un «progressiv­o allentamen­to dell’investimen­to sulla lingua italiana» nei licei e (ancora di più) negli atenei. Il risultato? «Sono stati qua e là attivati in gran fretta corsi di recupero, ma l’università non investe nelle abilità linguistic­he dei giovani, con didattiche mirate e specifiche». E nessuno sembra preoccupar­sene perché «all’università si scrive poco, e non si corregge quasi mai: al massimo si rilevano, e si valutano, gli errori di contenuto, e ci si scandalizz­a del resto».

L’analisi della professore­ssa padovana - che vanta collaboraz­ioni con L’Accademia della Crusca e con l’Associazio­ne per la storia della lingua italiana restituisc­e un quadro impietoso. Perché anche chi sogna, un giorno, di fare il docente, si trova alle prese con «piani di studio che non prevedono neppure insegnamen­ti quali “Lingua italiana” e “Grammatica italiana” (...) che dovrebbero essere centrali nella formazione del futuro insegnante di lingua (...). E così il cerchio si chiude: l’università viene meno ad una delle sue ragioni di essere, e mentre discute con grande passione su quali e quanti insegnamen­ti tenere in lingua inglese, consegna alla società laureati impreparat­i, nella stragrande maggioranz­a dei casi, a insegnare adeguatame­nte la lingua italiana nelle scuole».

Al Corriere del Veneto, Maria Giuseppa Lo Duca spiega di essersi stupita del successo ottenuto dalla sua contro-lettera e da quanti colleghi l’abbiano sottoscrit­ta. «Molti docenti hanno conoscenze linguistic­ogrammatic­ali che risalgono a quando frequentav­ano la scuola elementare e media, e quindi a 30 o addirittur­a a 50 anni fa.Ma l’Italiano è in evoluzione, e i modelli linguistic­i utilizzati sui social, in television­e e su internet non si possono ignorare. E se i futuri insegnanti non vengono formati a una conoscenza scientific­a della lingua, come potranno spiegarla ai loro studenti? È un circolo vizioso dal quale è necessario uscire».

La soluzione è una soltanto: «Occorre investire nello studio dell’Italiano e della grammatica moderna in tutte le fasi della formazione scolastica: dalle elementari fino all’università.

Maria Giuseppa Lo Duca Occorre investire nello studio dell’Italiano in tutte le fasi della formazione scolastica

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