Merritt Chase, il «ribelle» che snobbò le avanguardie
Ca’ Pesaro rende omaggio all’impressionista americano con la prima grande antologica in Italia. Scene di vita borghese, vedute realistiche, ritratti femminili: 60 opere tra ‘800 e ‘900. I ricordi del viaggio a Venezia
Possono indossare il kimono o essere avvolte in un vestito di tulle rosa, sono forti e fiere, seriose, annoiate o materne. Donne mai idealizzate, dipinte in ambienti e pose in precedenza riservate agli uomini, ma anche ritratte in scene intimiste di vita familiare. E dall’ambiente domestico si esce negli spazi verdi e nelle località di villeggiatura, luoghi di svago dell’alta borghesia, con le immagini en plein air dei verdi parchi a Brooklyn e dei cieli nuvolosi che riempiono i grandi spazi a Long Island.
Dopo le tappe di Washington e Boston, la Fondazione Musei Civici di Venezia presenta, in anteprima europea, una grande retrospettiva dedicata a William Merritt Chase (1849-1916). Al Museo di Ca’ Pesaro, fino al 28 maggio, circa 60 opere dell’artista statunitense provenienti da collezioni pubbliche e private d’oltreoceano, per ripercorrere la parabola creativa di un pittore dalla grande tecnica, non convenzionale, individuale, a cavallo tra Otto e Novecento.
Il sottotitolo della mostra - a cura di Elsa Smithgall, Erica E. Hirshler, Katherine M. Bourguignon e Giovanna Ginex, realizzata sotto la direzione scientifica dei musei coinvolti, tra cui Gabriella Belli (direttore Muve) - recita «Un pittore tra New York e Venezia», poiché parliamo di un artista cosmopolita, la cui fama è stata oscurata dall’arrivo della nuova arte di astrazione. «Eppure venne definito un “rebel” alla sua epoca», sottolinea Smithgall. Nato nel 1849 in Indiana, nel 1872 si trasferisce in Europa per frequentare l’Akademie der Bildenden Künste di Monaco di Baviera. Compie viaggi di studio a Londra, Parigi, in Olanda e a Venezia, tra il 1877 e 1878, in una casa a San Trovaso, studiando i grandi pittori del passato e confrontandosi con gli autori che lavoravano in città.
Al ritorno in America, diviene figura guida per giovani pittori statunitensi - tra cui Georgia O’Keeffe ed Edward Hopper - anche grazie al ruolo di insegnante svolto per 18 anni all’Art Students League di New York. Nella città lagunare, dove espone alla Biennale di Venezia nel 1901, torna l’ultima volta nel 1913 con gli allievi di una summer school.
La mostra è un excursus che parte da una tavolozza scura che via via si illumina. Dai ritratti di giovani degli anni monacensi d’influenza velázqueziana alle vedute realistiche del primo soggiorno veneziano, si cambia registro con gli interni di studio dall’aria decadente stile Fortuny. In The
Young Orphan (1884) i colori caldi abbracciano una donna già immersa nella contemporaneità. Ecco una carrellata di ritratti femminili della moglie, tra cui il noto Portrait of Mrs C. (Donna dallo scialle bianco, 1893) e delle allieve. Esempi di uno spirito moderno che univa tonalismo, impressionismo, simbolismo e giapponismo, non hanno quell’alone di glamour boldiniano ma personificano il nuovo tipo americano di bellezza e indipendenza. Avvolte in un kimono in A Comfortable Corner (1888), o nude di spalle, come in A Modern Magdalen (1888). C’è anche l’unica opera di Chase presente in Italia - Self-Portrait (1908) - in prestito dagli Uffizi.
Nelle scene di intimità familiare Merritt Chase sperimenta inquadrature inusuali, come in Hide and Seek (1888). Il delizioso The Open Air Breakfast (1888 circa) ci introduce ai paesaggi all’aperto intrisi di luminosità. Tompkins Park Brooklyn (1887) o At The Seaside (1892c.), opere certamente d’impressione. Sarebbe sbagliato, però, fare confronti con i modelli francesi.
Con un omaggio a Firenze e Venezia termina la mostra, che è coadiuvata dal primo catalogo sul maestro americano in lingua italiana, realizzato col sostegno di Terra Foundation for American Art di Chicago, che ha reso possibile la mostra.