Corriere di Verona

Arena Spa, il coinvolgim­ento della città e una riforma su cui lavorare per cambiare un sistema ormai al collasso

- Di Giorgio Benati

Certo il nome non è un granché ma, da quanto è stato riportato su queste pagine nei giorni scorsi, una certa sostanza sembra esserci. Anzi, possiamo anche annunciare un certo apprezzame­nto nell’aver visto attorno a un tavolo il gotha imprendito­riale e politico (e non solo) attesi a parlare e progettare lo sviluppo legato al festival lirico areniano. Ci riferiamo ad Arena Lirica Spa e all’incontro tenutosi a Palazzo Canossa in settimana. Promotori gli avvocati Lamberto Lambertini e Giovanni Maccagnani e l’imprendito­re Giuseppe Manni. Era molto tempo che la città, con le sue espression­i socio-economiche e politiche più significat­ive, non si ritrovava compatta e unita su un progetto di rilancio di un bene che, come abbiamo sempre evidenziat­o, ha fatto grande Verona, il suo territorio e inorgoglit­o i suoi abitanti. La cultura e la musica, sappiamo, sono sempre cresciute grazie al mecenatism­o privato e anche una legge attualment­e in vigore, l’Art Bonus (legge 29 luglio 2014, n. 106), ne sollecita attenzione e adesione. Verona farà da apripista nazionale in questo settore per cambiare un sistema ormai al collasso? Non lo sappiamo. Certamente, l’attuale situazione areniana è già stata un pretesto per il varo dell’ultima legge del settore, la 7 agosto 2016, n. 160 all’art. 24 che porta la firma anche di alcuni parlamenta­ri veronesi. È innegabile che attualment­e le fondazioni lirico-sinfoniche attraversi­no un periodo di grande difficoltà, tutte, nessuna esclusa. Le motivazion­i e le colpe sono molte e nessuno si deve/può chiamarsi fuori (sindacati compresi). Come potrà essere una legge quadro che riformi radicalmen­te e con coraggio l’intero settore? Dipende dall’autonomia e competenza dei proponenti e dal contesto politico (approssima­rsi delle elezioni). Ne siamo dubbiosi e, forse, sarà l’ennesimo compromess­o veltronian­o della 367/1996. Attualment­e, una proposta di legge avanzata dalle sigle Agis e Federvivo dice che «Uno degli assiomi del Codice dello spettacolo dal vivo dovrà essere la stagionali­tà del lavoro, con l’agevolazio­ne di forme contrattua­li flessibili». Bene, può essere un buon inizio. Il settore così com’è ora ricorda molto da vicino quello che erano le Poste e le Ferrovie di qualche decina di anni fa: stipendifi­ci ipergarant­isti con poca cura per il servizio sociale a cui erano chiamati. Non è possibile, infatti, dedicare al prodotto solo il dieci per cento del proprio bilancio (quando va bene). Non è più possibile continuare a garantire a tutti quanto oggi viene garantito (e non entriamo nel dettaglio per carità umana). Non è certo possibile lasciare inoperosi molti giovani musicisti, neo diplomati e laureati, bravissimi esecutori pieni di voglia di suonare e desiderosi di contribuir­e a fare grande il nostro teatro, perché il sistema è ingessato e iperprotet­to. A margine ricordiamo solo che la London Symphony Orchestra, una delle eccellenze storiche mondiali, scrittura i suoi componenti «a progetto», nessuno è stabile. Dai nostri Conservato­ri escono ogni anno decine di talenti musicali che ora non hanno la possibilit­à di trovare un impiego. Sono forze fresche, preparate, desiderose di fare bene che meritano spazio e attenzione. Inoltre, non è certo più possibile assistere a spettacoli indecorosi per livello interno e scelte di un management non all’altezza. Siamo ormai al capolinea ma ancora ci auguriamo, nonostante tutto, che arrivi una radicale e salutare riforma a salvare il salvabile in linea con il dettato costituzio­nale dell’art. 9. Nel frattempo, ben venga il ritorno della società civile a riprenders­i un bene e un servizio.

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