Arena Spa, il coinvolgimento della città e una riforma su cui lavorare per cambiare un sistema ormai al collasso
Certo il nome non è un granché ma, da quanto è stato riportato su queste pagine nei giorni scorsi, una certa sostanza sembra esserci. Anzi, possiamo anche annunciare un certo apprezzamento nell’aver visto attorno a un tavolo il gotha imprenditoriale e politico (e non solo) attesi a parlare e progettare lo sviluppo legato al festival lirico areniano. Ci riferiamo ad Arena Lirica Spa e all’incontro tenutosi a Palazzo Canossa in settimana. Promotori gli avvocati Lamberto Lambertini e Giovanni Maccagnani e l’imprenditore Giuseppe Manni. Era molto tempo che la città, con le sue espressioni socio-economiche e politiche più significative, non si ritrovava compatta e unita su un progetto di rilancio di un bene che, come abbiamo sempre evidenziato, ha fatto grande Verona, il suo territorio e inorgoglito i suoi abitanti. La cultura e la musica, sappiamo, sono sempre cresciute grazie al mecenatismo privato e anche una legge attualmente in vigore, l’Art Bonus (legge 29 luglio 2014, n. 106), ne sollecita attenzione e adesione. Verona farà da apripista nazionale in questo settore per cambiare un sistema ormai al collasso? Non lo sappiamo. Certamente, l’attuale situazione areniana è già stata un pretesto per il varo dell’ultima legge del settore, la 7 agosto 2016, n. 160 all’art. 24 che porta la firma anche di alcuni parlamentari veronesi. È innegabile che attualmente le fondazioni lirico-sinfoniche attraversino un periodo di grande difficoltà, tutte, nessuna esclusa. Le motivazioni e le colpe sono molte e nessuno si deve/può chiamarsi fuori (sindacati compresi). Come potrà essere una legge quadro che riformi radicalmente e con coraggio l’intero settore? Dipende dall’autonomia e competenza dei proponenti e dal contesto politico (approssimarsi delle elezioni). Ne siamo dubbiosi e, forse, sarà l’ennesimo compromesso veltroniano della 367/1996. Attualmente, una proposta di legge avanzata dalle sigle Agis e Federvivo dice che «Uno degli assiomi del Codice dello spettacolo dal vivo dovrà essere la stagionalità del lavoro, con l’agevolazione di forme contrattuali flessibili». Bene, può essere un buon inizio. Il settore così com’è ora ricorda molto da vicino quello che erano le Poste e le Ferrovie di qualche decina di anni fa: stipendifici ipergarantisti con poca cura per il servizio sociale a cui erano chiamati. Non è possibile, infatti, dedicare al prodotto solo il dieci per cento del proprio bilancio (quando va bene). Non è più possibile continuare a garantire a tutti quanto oggi viene garantito (e non entriamo nel dettaglio per carità umana). Non è certo possibile lasciare inoperosi molti giovani musicisti, neo diplomati e laureati, bravissimi esecutori pieni di voglia di suonare e desiderosi di contribuire a fare grande il nostro teatro, perché il sistema è ingessato e iperprotetto. A margine ricordiamo solo che la London Symphony Orchestra, una delle eccellenze storiche mondiali, scrittura i suoi componenti «a progetto», nessuno è stabile. Dai nostri Conservatori escono ogni anno decine di talenti musicali che ora non hanno la possibilità di trovare un impiego. Sono forze fresche, preparate, desiderose di fare bene che meritano spazio e attenzione. Inoltre, non è certo più possibile assistere a spettacoli indecorosi per livello interno e scelte di un management non all’altezza. Siamo ormai al capolinea ma ancora ci auguriamo, nonostante tutto, che arrivi una radicale e salutare riforma a salvare il salvabile in linea con il dettato costituzionale dell’art. 9. Nel frattempo, ben venga il ritorno della società civile a riprendersi un bene e un servizio.