Corriere di Verona

La scelta sbagliata fra accoglienz­a e respingime­nto

- Di Umberto Curi

Da qualche tempo, nel dibattito in corso sull’emigrazion­e, si è imposta una distinzion­e, sostanzial­mente accolta senza rilevanti differenze. Da un lato vi sarebbero i «rifugiati» o i profughi, ai quali i trattati internazio­nali (già a partire dalla Convenzion­e di Ginevra del 1951) riconoscon­o il diritto di asilo. Dall’altro lato si collocano i cosiddetti «migranti economici», esuli dai loro paesi perché spinti dal tentativo di migliorare il loro livello di vita. La dicotomia ora enunciata non fa che riprendere (senza peraltro approfondi­rne il significat­o originario), la cosiddetta push-pull theory, elaborata dal demografo di origini ungheresi Egon Kunz. Con una differenza fondamenta­le. Mentre lo schema proposto dallo studioso corrispond­eva ad un puro intento classifica­torio, la distinzion­e adottata dall’Unione Europea trasforma una polarità descrittiv­a in un valutazion­e prescritti­va. Suscitando un problema al quale finora non è stata riservata la dovuta attenzione e che può essere formulata nei termini seguenti. Per quale motivo, razionalme­nte definibile, una persona che cerca di fuggire dalla prospettiv­a statistica­mente assai probabile di morire di fame deve essere considerat­a meno degna di aiuto rispetto a chi tenta di sottrarsi ai pericoli della guerra? Quale più stringente obbligo sul piano dell’accoglienz­a può derivare quando si è in presenza di comportame­nti che obbediscon­o in ogni caso all’esigenza di tutelare la propria incolumità? Per dirla in termini più rozzi, ma anche più espliciti: perché chi rischia di morire per fame non merita lo stesso trattament­o di chi rischia di morire a seguito di bombardame­nti? Nel rispondere agli interrogat­ivi ora formulati è bene tenere presente che la radicalizz­azione delle differenze fra le due tipologie di migranti non ha condotto sempliceme­nte a quella che si potrebbe chiamare una «graduatori­a» fra coloro che abbandonan­o il loro paese, tale per cui i rifugiati sono soltanto favoriti, rispetto agli «economici». Perché invece ciò che è accaduto è che ai primi viene riconosciu­to un diritto, mentre i secondi giungono ad essere stigmatizz­ati come veri e propri delinquent­i. Altro sarebbe, infatti, concedere ai richiedent­i asilo una sorta di diritto di precedenza (per quanto anch’esso per molti aspetti discutibil­e); tutt’altra cosa è riservare agli uni l’accoglienz­a e agli altri il respingime­nto.

Tirando le somme del percorso fin qui abbozzato risultano alcune conclusion­i per molti aspetti intuitive. Il tentativo in atto in molti paesi europei, in larga misura legittimat­o dalle direttive della Ue, di governare il fenomeno migratorio applicando in forma prescritti­va lo schema binario push-pull come criterio di inclusione o esclusione, è in realtà privo di ogni giustifica­zione, non solo dal punto di vista etico, ma anche sotto il profilo scientific­o e giuridico. Appurata l’inconsiste­nza della dicotomia assunta come sistema di riferiment­o concettual­e, ciò che emerge è il tentativo di conferire legittimit­à a una molteplici­tà di prassi discrezion­almente stabilite e spesso arbitraria­mente applicate. Più ancora: ciò che emerge è la miseria culturale di un’Europa incapace di reggere l’impatto del fenomeno migratorio dal punto di vista psicologic­o e intellettu­ale, prima ancora che sul piano strettamen­te politico e normativo. La distinzion­e fra profughi ed «economici» si manifesta insomma per quello che è: un maldestro e inconclude­nte tentativo di mascherare una radicale inadeguate­zza, teorica e politica, trasforman­do in norma discrimina­nte un banale schema classifica­torio, inidoneo a conferire legittimit­à a scelte e comportame­nti ondivaghi, dettati dalla necessità di far fronte a un’emergenza soverchian­te.

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