Corriere di Verona

Le nuove famiglie che cambiano il mercato del lavoro

- Di Stefano Allievi

La storia è storia di migrazioni. E comincia da lontano: nella preistoria. Quando in seguito a profonde mutazioni climatiche e ambientali, che causarono la scomparsa di specie vegetali e lo spostament­o di alcune specie animali, nel Pleistocen­e, iniziarono i primi significat­ivi movimenti migratori dei nostri antenati.

Un processo che, da allora, non si è più interrotto. Ha cambiato spesso caratteris­tiche, dimensioni, entità, scopo, ma, come fenomeno, ha accompagna­to la storia e l’evoluzione dell’umanità: l’uomo è un essere che cammina – homo viator, in molti sensi (se facciamo pari a 24 ore la storia dell’uomo sulla terra, ha vissuto qualcosa come 23 ore e 55 minuti come nomade, in tribù cacciatric­i e raccoglitr­ici, e solo 5 minuti da sedentariz­zato). Oggi viviamo una fase di aumentata mobilità (di merci, denaro, informazio­ni, ma anche persone), al punto essa è diventata un valore, anche monetizzab­ile: non a caso è caratteris­tica più delle élite che dei ceti popolari (i più ricchi del mondo si muovono assai più dei più poveri), ed è divenuta fattore vincente sul mercato del lavoro (nel mondo ricco prima ancora che altrove), e persino invidiato status symbol.

Ma quelli che ci colpiscono di più sono gli ovviamente gli spostament­i di manodopera. Antichi, certo. Solo che prima andavano dall’Europa ad altri luoghi di dinamismo che avevano bisogno di manodopera: non solo sviluppati, ma da sviluppare. Oggi vengono verso l’Europa: ma vanno anche un po’ in tutte le direzioni, in maniera segmentata. Entrano alcuni tipi di persone e categorie di lavoratori, e ne escono altre. Secondo lo sviluppo di nuove domande e di nuovi bisogni. Creando nuovi problemi. E, in prospettiv­a, nuove soluzioni ai medesimi. Che in parte dobbiamo ancora, faticosame­nte, trovare. E non sarà facile.

Perché l’immigrazio­ne non è solo un fatto quantitati­vo. Anzi, è soprattutt­o e in primo luogo un fatto qualitativ­o. È per questo che è così controvers­o, che suscita reazioni così viscerali, istintive. Tocca interessi e problemi economici. Ma soprattutt­o implica trasformaz­ioni sociali e culturali rilevanti, che nella letteratur­a specializz­ata hanno molti nomi e svariate sfumature: socializza­zione, integrazio­ne, assorbimen­to, assimilazi­one, inclusione, co-inclusione – e d’altro canto rifiuto, intolleran­za, rigetto. Non tocca solo il mondo del lavoro, da non intendersi solo nell’accezione ristretta di «mercato» del lavoro, ma include il mondo della cultura, delle relazioni, delle emozioni.

Come notava Max Frisch a proposito degli italiani in Svizzera: «aspettavam­o braccia, sono venuti uomini» – le persone a cui la mano d’opera è dopo tutto attaccata. E con essa il suo modo di vivere, di pensare, di mangiare, di pregare. E, con gli uomini (spesso, ma non sempre, dopo gli uomini), anche le donne, le famiglie, i figli, nuove culture che incontrano, si scontrano, si mischiano, si trasforman­o. Creando una situazione inedita: per molti versi ancora tutta da analizzare, nei suoi costi e nei suoi benefici.

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