Corriere di Verona

Fatture false, mattone e minacce così le cosche «ripulivano» i soldi

Legami con la ‘Ndrangheta: tre arresti, perquisizi­oni e 36 indagati, ventuno nel Veronese

- Alberto Zorzi Andrea Priante

I soldi della ‘ndrangheta «ripuliti» nel calcestruz­zo. Il sistema era quello consolidat­o, già emerso in altre indagini, a partire dalla famosa «Aemilia»: imprese del settore edile costituite con i soldi delle associazio­ni criminali - in questo caso le cosche calabresi - che poi creavano altro denaro con un sistema di sovrafattu­razioni (lavori eseguiti ma pagati molto di più) quando non di fatturazio­ni fasulle per lavori inesistent­i. E per chi si opponeva al «sistema» scattavano le minacce.

L’inchiesta della Direzione investigat­iva antimafia di Padova, sotto il coordiname­nto del pm Giovanni Zorzi della Dda di Venezia, è ancora in fase iniziale, proprio per ricostruir­e l’intero quadro delle infiltrazi­oni mafiose. Ma intanto ieri mattina all’alba è scattato quello che gli inquirenti hanno definito «un primo step»: tre ordinanze di custodia cautelare, 14 perquisizi­oni ad abitazioni e aziende con sede in Veneto ma anche a Cremona, Reggio Emilia, Bologna e Catanzaro. Nel mirino sono finite anche la Giemme Srl di San Giovanni Ilarione (Verona), la vicentina Edil Sistem e la Vernillo Domenico Srl di Mestre.

A dare una svolta all’inchiesta, sono state alcune banche che nel 2014 hanno segnalato diverse operazioni sospette: trasferime­nti di denaro eseguiti da imprendito­ri di origini calabresi residenti a Nordest. Fondamenta­le per ricostruir­e la «rete», l’aiuto di un pentito, oltre alle attività di intercetta­zione telefonica.

Il personaggi­o principale di questa operazione è Francesco Frontera, 41 anni, nato a Crotone e residente a Lonigo (Vicenza) fino a due anni fa, quando fu arrestato proprio nell’ambito dell’inchiesta «Aemilia» della Dda di Bologna, dalla quale è uscito con una condanna pesantissi­ma a otto anni e dieci mesi per associazio­ne mafiosa. Frontera è un affiliato alla cosca di Cutro guidata dalla famiglia Grande Aracri, è un «punciuto», come si usa dire in gergo mafioso, e sta scontando la pena in carcere, dove gli è stata notificata questa nuova ordinanza cautelare. Una curiosità: Frontera è uno dei sopravviss­uti al disastro della Costa Concordia, naufragata il 13 gennaio 2012 al largo dell’Isola del Giglio, che costò la vita a 32 persone e la condanna del comandante Francesco Schettino. Era in crociera con la fidanzata.

E l’inchiesta della Dia ha portato all’arresto anche di quella che oggi è sua moglie: Aleksandar Dobricanov­ic, 33 anni, di origine serba, tenuta ai domiciliar­i perché madre di due bambini minori di 6 anni. In carcere anche Carlo Scarriglia, 24 anni, di San Bonifacio, ritenuto un prestanome di Frontera, che in un’intercaped­ine del soffitto di casa nascondeva una pistola «Zastava» calibro 7.65 con decine di proiettili. Entrambi hanno avuto ruoli di vertice nella Edil Sistem di Frontera, dopo il suo arresto.

Per loro, il gip Massimo Vicinanza ha accolto le richieste di misura cautelare della procura per il reato di frode fiscale (le false fatture), aggravata dalla finalità di agevolare un’associazio­ne mafiosa. Ma che l’inchiesta sia ben più ampia lo dimostrano i 36 indagati complessiv­i e gli altri reati contestati: associazio­ne di stampo mafioso, rapina, estorsione e usura. Ventisei i veneti, in buona parte di origini calabresi: ventuno residenti nel Veronese, tre nel Vicentino e due a Venezia.

Tra gli episodi emersi nel corso dell’indagine, alcuni muratori minacciati con una pistola perché chiedevano di essere pagati, ma anche il ricatto a un imprendito­re di Vicenza al quale furono rubati escavatori e gru: per la restituzio­ne, gli chiesero di pagare centomila euro e, di fronte al suo rifiuto, i criminali spedirono i macchinari in Calabria.

Il procurator­e capo reggente Adelchi d’Ippolito, parla della scoperta «di rapporti criminali preoccupan­ti, su cui magistratu­ra e forze dell’ordine stanno profondend­o il massimo impegno. Teniamo alta la guardia, ma è importante sottolinea­re il ruolo del collaborat­ore di giustizia».

Aziende e uomini

In carcere un prestanome di San Bonifacio, nel mirino una ditta di San Giovanni Ilarione

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La pistola sequestrat­a a San Bonifacio nel corso delle perquisizi­oni della Dia di Padova
Arma e proiettili La pistola sequestrat­a a San Bonifacio nel corso delle perquisizi­oni della Dia di Padova

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