Fatture false, mattone e minacce così le cosche «ripulivano» i soldi
Legami con la ‘Ndrangheta: tre arresti, perquisizioni e 36 indagati, ventuno nel Veronese
I soldi della ‘ndrangheta «ripuliti» nel calcestruzzo. Il sistema era quello consolidato, già emerso in altre indagini, a partire dalla famosa «Aemilia»: imprese del settore edile costituite con i soldi delle associazioni criminali - in questo caso le cosche calabresi - che poi creavano altro denaro con un sistema di sovrafatturazioni (lavori eseguiti ma pagati molto di più) quando non di fatturazioni fasulle per lavori inesistenti. E per chi si opponeva al «sistema» scattavano le minacce.
L’inchiesta della Direzione investigativa antimafia di Padova, sotto il coordinamento del pm Giovanni Zorzi della Dda di Venezia, è ancora in fase iniziale, proprio per ricostruire l’intero quadro delle infiltrazioni mafiose. Ma intanto ieri mattina all’alba è scattato quello che gli inquirenti hanno definito «un primo step»: tre ordinanze di custodia cautelare, 14 perquisizioni ad abitazioni e aziende con sede in Veneto ma anche a Cremona, Reggio Emilia, Bologna e Catanzaro. Nel mirino sono finite anche la Giemme Srl di San Giovanni Ilarione (Verona), la vicentina Edil Sistem e la Vernillo Domenico Srl di Mestre.
A dare una svolta all’inchiesta, sono state alcune banche che nel 2014 hanno segnalato diverse operazioni sospette: trasferimenti di denaro eseguiti da imprenditori di origini calabresi residenti a Nordest. Fondamentale per ricostruire la «rete», l’aiuto di un pentito, oltre alle attività di intercettazione telefonica.
Il personaggio principale di questa operazione è Francesco Frontera, 41 anni, nato a Crotone e residente a Lonigo (Vicenza) fino a due anni fa, quando fu arrestato proprio nell’ambito dell’inchiesta «Aemilia» della Dda di Bologna, dalla quale è uscito con una condanna pesantissima a otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa. Frontera è un affiliato alla cosca di Cutro guidata dalla famiglia Grande Aracri, è un «punciuto», come si usa dire in gergo mafioso, e sta scontando la pena in carcere, dove gli è stata notificata questa nuova ordinanza cautelare. Una curiosità: Frontera è uno dei sopravvissuti al disastro della Costa Concordia, naufragata il 13 gennaio 2012 al largo dell’Isola del Giglio, che costò la vita a 32 persone e la condanna del comandante Francesco Schettino. Era in crociera con la fidanzata.
E l’inchiesta della Dia ha portato all’arresto anche di quella che oggi è sua moglie: Aleksandar Dobricanovic, 33 anni, di origine serba, tenuta ai domiciliari perché madre di due bambini minori di 6 anni. In carcere anche Carlo Scarriglia, 24 anni, di San Bonifacio, ritenuto un prestanome di Frontera, che in un’intercapedine del soffitto di casa nascondeva una pistola «Zastava» calibro 7.65 con decine di proiettili. Entrambi hanno avuto ruoli di vertice nella Edil Sistem di Frontera, dopo il suo arresto.
Per loro, il gip Massimo Vicinanza ha accolto le richieste di misura cautelare della procura per il reato di frode fiscale (le false fatture), aggravata dalla finalità di agevolare un’associazione mafiosa. Ma che l’inchiesta sia ben più ampia lo dimostrano i 36 indagati complessivi e gli altri reati contestati: associazione di stampo mafioso, rapina, estorsione e usura. Ventisei i veneti, in buona parte di origini calabresi: ventuno residenti nel Veronese, tre nel Vicentino e due a Venezia.
Tra gli episodi emersi nel corso dell’indagine, alcuni muratori minacciati con una pistola perché chiedevano di essere pagati, ma anche il ricatto a un imprenditore di Vicenza al quale furono rubati escavatori e gru: per la restituzione, gli chiesero di pagare centomila euro e, di fronte al suo rifiuto, i criminali spedirono i macchinari in Calabria.
Il procuratore capo reggente Adelchi d’Ippolito, parla della scoperta «di rapporti criminali preoccupanti, su cui magistratura e forze dell’ordine stanno profondendo il massimo impegno. Teniamo alta la guardia, ma è importante sottolineare il ruolo del collaboratore di giustizia».
Aziende e uomini
In carcere un prestanome di San Bonifacio, nel mirino una ditta di San Giovanni Ilarione