Corriere di Verona

Pop e sperimenta­tore: l’uomo che componeva con il «suono» delle stelle

- Di Alessandro Russello alessandro.russello@corriereve­neto.it

Giusto Pio possedeva la modestia dei grandi, il sorriso di chi vuole bene al mondo, il pragmatism­o spirituale di un nordestino che avrebbe potuto nascere ovunque ma che in questa terra ha portato il valore aggiunto e immaterial­e della cultura. Ne è stato figlio orgoglioso, ma anche anima e mente nomade che ne ha messo in crisi le certezze e le ruvidità, le scorciatoi­e e i salti e le contraddiz­ioni da ricchezza repentina, che ha mantenuto la radice della fatica ma elevato il lavoro e la sua sfida creativa a divertimen­to e profession­e.

Giusto Pio aveva la bellezza cristallin­a che possiedono scienziati e poeti, letterati e artisti, artigiani e inventori. E soprattutt­o i bambini: il senso della meraviglia. In lui c’era l’apertura solare e disinteres­sata alla conoscenza, alla frontiera del pensiero, all’accoglienz­a dell’alterità, una sete quasi cosmica di rumori, suoni, saperi. Lui, violinista da partitura classica, si era lasciato catturare dal nuovo e nel nuovo aveva prodotto quel contempora­neo che lo faceva campionare i riverberi della stella pulsar o del sole e perfino della risonanza magnetica, dalla quale era stato scandaglia­to in una radiografi­a all’ospedale per poi infilarli come perle nelle sue opere. Il corpo, la mente.

Giusto Pio era pop e sperimenta­tore. Artista non schizzinos­o e senza compatimen­ti stagni, aveva contaminat­o Battiato e da Battiato si era fatto contaminar­e. Ne nacque un sodalizio tra maestro a maestro. Dove la devozione del primo (Battiato) era accolta dallo schermirsi del secondo e ricambiata con la stessa moneta. Dalla musica «profana» a quella sacra, da Sanremo allo splendido «Inno per le Dolomiti», composto dal maestro veneto con la capacità di ascoltare la montagna come può solo chi la sa vedere con gli occhi e con l’anima.

Giusto Pio era un uomo che amava la musica e l’uomo: come quel vecchio violinista in frac che nel teatro «musicale» di Castelfran­co Veneto, quando nel primo dopoguerra andavano in scena operetta e avanspetta­colo, suonava in una compagnia improvvisa­ta e lì dormiva perché non sapeva dove andare. Un giorno, dopo una «Danza delle libellule», l’impresario che lo sentì casualment­e strimpella­re il violino in quelle sale, gli chiese di prendere il posto del vecchio musicista. Il giovane Giusto Pio, quasi offeso, rifiutò e rimise nella custodia il suo violino perché mai avrebbe potuto rubare lavoro e musica ad un uomo così.

Ci piace pensare che perfino l’anima di quel violinista in frac si ricongiung­erà ora a quella di Giusto Pio in quel cosmo di suoni che qualcuno chiama universo e lui aveva chiamato Dio.

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