QUELLE MORTI EVITABILI
«He cosa non mi piace della morte? Forse l’ora». Così dice, con la consueta beffarda ironia, Woody Allen. Ovviamente, non essendo immortali, l’ora prima o poi arriva. Anche se, con la longevità di massa, arriva ormai sempre più tardi. Solo che qualche volta l’ora fatale arriva invece fin troppo presto. Un’ora che da inevitabile potrebbe essere ragionevolmente evitabile. E quindi – il più possibile – posticipata. E’ il fenomeno della cosiddetta mortalità evitabile, data da quei decessi che avvengono per cause che potrebbero essere attivamente contrastate con interventi di prevenzione primaria, diagnosi precoce ed appropriata terapia, igiene e assistenza sanitaria. Certo, molto dipende dalle scelte individuali e dagli stili di vita intrapresi, ma è pure importante il grado di efficienza del sistema sanitario, la sua capacità di fare prevenzione e di fornire terapie efficaci senza ritardi o peggio errori medici. Ebbene, è stato calcolato dall’ultimo rapporto 2017 di MEV(i) che in Italia vi sono stati più di 103 mila casi di morti evitabili entro i 75 anni di vita su un totale di circa 600 mila decessi, due terzi dei quali hanno riguardato i maschi. In altri termini 103 mila persone che oggi potrebbero essere tranquillamente ancora in vita solo se la prevenzione primaria (soprattutto), la «madre» di tutte le prevenzioni, fosse stata più considerata e seguita.
Dalle vaccinazioni all’attività fisica, dall’alimentazione alle cinture di sicurezza: gli esempi potrebbero continuare a lungo. I maschi, più esposti a determinati fattori di rischio e meno attenti alla cura di sé, sono quelli più soggetti alla morte evitabile, come dice la ricerca. Che presenta anche una sorta di atlante geografico regionale e provinciale della mortalità evitabile, una geografia che mette ai primi posti Marche, Trentino e Veneto per quanto riguarda i maschi e Veneto, Trentino e Marche circa le femmine. Per entrambi i generi chiude poco onorevolmente la graduatoria la Campania e il pensiero corre alla sua critica situazione ambientale (come l’inquinatissima «terra dei fuochi» tra Napoli e Caserta) e allo stato insoddisfacente della sanità regionale. In termini provinciali spicca l’eccellenza di Treviso, al primo posto tra le 110 province italiane per entrambi i sessi, mentre chiude Napoli. La ricerca e i suoi risultati permettono alcune osservazioni. La prima è che c’è una mortalità evitabile oggi pari a un caso su sei decessi. Troppo: il dato, pur in miglioramento, dice che c’è ancora molto da fare per salvare vite umane. Sia sul fronte dei comportamenti salutistici individuali che su quello del welfare sanitario pubblico. Inoltre l’Italia, ancora una volta, si presenta a macchia di leopardo, mescolando eccellenze curative e malasanità. Per il Veneto, e in particolare per Treviso, i risultati sono più che confortanti. È vero che la sanità semper reformanda est, per cui è legittimo chiedere sempre il massimo possibile trattandosi di questioni di salute e di sofferenza. Tuttavia certi eccessi di lamentosità generica e vittimistica sulla sanità sono francamente populistici e ingiustificati. Anche alla luce dei dati offerti dalla ricerca di MEV(i).