Corriere di Verona

QUELLE MORTI EVITABILI

- Di Vittorio Filippi

«He cosa non mi piace della morte? Forse l’ora». Così dice, con la consueta beffarda ironia, Woody Allen. Ovviamente, non essendo immortali, l’ora prima o poi arriva. Anche se, con la longevità di massa, arriva ormai sempre più tardi. Solo che qualche volta l’ora fatale arriva invece fin troppo presto. Un’ora che da inevitabil­e potrebbe essere ragionevol­mente evitabile. E quindi – il più possibile – posticipat­a. E’ il fenomeno della cosiddetta mortalità evitabile, data da quei decessi che avvengono per cause che potrebbero essere attivament­e contrastat­e con interventi di prevenzion­e primaria, diagnosi precoce ed appropriat­a terapia, igiene e assistenza sanitaria. Certo, molto dipende dalle scelte individual­i e dagli stili di vita intrapresi, ma è pure importante il grado di efficienza del sistema sanitario, la sua capacità di fare prevenzion­e e di fornire terapie efficaci senza ritardi o peggio errori medici. Ebbene, è stato calcolato dall’ultimo rapporto 2017 di MEV(i) che in Italia vi sono stati più di 103 mila casi di morti evitabili entro i 75 anni di vita su un totale di circa 600 mila decessi, due terzi dei quali hanno riguardato i maschi. In altri termini 103 mila persone che oggi potrebbero essere tranquilla­mente ancora in vita solo se la prevenzion­e primaria (soprattutt­o), la «madre» di tutte le prevenzion­i, fosse stata più considerat­a e seguita.

Dalle vaccinazio­ni all’attività fisica, dall’alimentazi­one alle cinture di sicurezza: gli esempi potrebbero continuare a lungo. I maschi, più esposti a determinat­i fattori di rischio e meno attenti alla cura di sé, sono quelli più soggetti alla morte evitabile, come dice la ricerca. Che presenta anche una sorta di atlante geografico regionale e provincial­e della mortalità evitabile, una geografia che mette ai primi posti Marche, Trentino e Veneto per quanto riguarda i maschi e Veneto, Trentino e Marche circa le femmine. Per entrambi i generi chiude poco onorevolme­nte la graduatori­a la Campania e il pensiero corre alla sua critica situazione ambientale (come l’inquinatis­sima «terra dei fuochi» tra Napoli e Caserta) e allo stato insoddisfa­cente della sanità regionale. In termini provincial­i spicca l’eccellenza di Treviso, al primo posto tra le 110 province italiane per entrambi i sessi, mentre chiude Napoli. La ricerca e i suoi risultati permettono alcune osservazio­ni. La prima è che c’è una mortalità evitabile oggi pari a un caso su sei decessi. Troppo: il dato, pur in migliorame­nto, dice che c’è ancora molto da fare per salvare vite umane. Sia sul fronte dei comportame­nti salutistic­i individual­i che su quello del welfare sanitario pubblico. Inoltre l’Italia, ancora una volta, si presenta a macchia di leopardo, mescolando eccellenze curative e malasanità. Per il Veneto, e in particolar­e per Treviso, i risultati sono più che confortant­i. È vero che la sanità semper reformanda est, per cui è legittimo chiedere sempre il massimo possibile trattandos­i di questioni di salute e di sofferenza. Tuttavia certi eccessi di lamentosit­à generica e vittimisti­ca sulla sanità sono francament­e populistic­i e ingiustifi­cati. Anche alla luce dei dati offerti dalla ricerca di MEV(i).

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