Altri guai per Giacino L’ex vicesindaco a processo con il fratello
Vito Giacino, ex vicesindaco del Comune di Verona, è stato rinviato ieri a giudizio assieme al fratello Edoardo. Dovranno rispondere del reato di calunnia, nei confronti del padre Antonio. Secondo l’accusa, i due fratelli «in concorso tra loro e pur sapendolo innocente», avrebbero incolpato il padre del reato di evasione fiscale. A nulla è servita la smentita dello stesso Antonio Giacino.
Insieme al fratello minore, avrebbe calunniato il padre: ieri sono stati entrambi rinviati a giudizio e così, a partire dal prossimo maggio, Vito Giacino dovrà affrontare un altro processo. E dire che l’ex vicesindaco sta ancora attendendo che la Corte di Cassazione calendarizzi il caso delle presunte mazzette da 600mila euro denunciato dal costruttore Alessandro Leardini e che ha, di fatto, posto fine a una carriera politica che pareva in costante ascesa.
Ma nel frattempo, aspettando che da Roma arrivino finalmente notizie, si torna a parlare dei Giacino in tribunale a Verona. E stavolta, al banco degli imputati, non risultava sotto accusa la coppia formata dall’ex assessore all’Urbanistica e l’avvocato Alessandra Lodi. O meglio: davanti al giudice per l’udienza preliminare Laura Donati figurava, oltre all’ex numero due del sindaco Tosi, il fratello minore Edoardo,anch’egli avvocato.
Di entrambi, a chiedere il rinvio a giudizio era stato il pubblico ministero Maria Beatrice Zanotti: secondo la sua ricostruzione, parte offesa nella vicenda figurerebbe il padre dei due fratelli, l’avvocato Antonio Giacino, che però non ha presentato querela. Anzi: in aula, era stata depositata per mano del legale Fabio Zambelli una dichiarazione in cui lo stesso Giacino sr attestava di non aveva subito calunnie, reato che tuttavia risulta perseguibile d’ufficio.
Ma cosa sarebbe accaduto? Stando all’accusa, i due fratelli avrebbero, «in concorso tra loro e pur sapendolo innocente, incolpato il padre del reato di evasione fiscale». Più precisamente, Vito ed Edoardo Giacino (difesi rispettivamente dai legali Filippo Vicentini e Zambelli) avrebbero dichiarato che il padre avrebbe commesso il presunto illecito fiscale «in relazione alla dichiarazione Irpef per l’annata 2006».
Per l’accusa, l’ex assessore all’Urbanistica avrebbe affermato il falso «in sede di esame reso davanti al gup» nel 2013 quand’era imputato per le presunte mazzette dall’imprenditore Leardini; il fratello si sarebbe reso responsabile dello steso reato attraverso dichiarazioni rese a riguardo durante le indagini e poste nero su bianco a verbale. In base alla ricostruzione delineata dagli investigatori, i due fratelli avrebbero incolpato (secondo l’accusa, pur sapendolo innocente) il padre di una presunta «imposta evasa pari a 89.756,01 euro». Più esattamente, avrebbero entrambi affermato che, in relazione a un contenzioso civilistico, il genitore a fronte di una parcella regolarmente fatturata pari a 71.546 euro ne avrebbe percepiti «altri 290mila in contanti non contabilizzati».
Una tesi, quella della procura, che le difese però contestavano punto su punto ribadendo le dichiarazioni del genitore che confermava quanto affermato dai figli.Invece per il pm tutto ruoterebbe attorno a un atto di ingiunzione di circa 900mila euro ai danni di due coniugi: per le difese, l’avvocato Antonio Giacino li aveva seguiti come legale in una causa di esproprio lunga quasi due decenni, e che aveva garantito a marito e moglie alla fine un risarcimento da circa 4 milioni. A fronte di ciò, avrebbero però dovuto pagare il loro avvocato per tutta l’assistenza ricevuta: di qui l’ingiunzione a loro carico da quasi un milione. Secondo i Giacino, alla fine si sarebbero accordati per quei 71mila euro contabilizzati e per i 290mila euro «in nero». Interrogata dalla Finanza, però, la coppia non avrebbe confermato la versione dei Giacino, negando «il nero». Se ne riparlerà in aula dal 9 maggio.