Perché non è una giornata di festa
Questo in Occidente, dove sono violenza anche le lettere di dimissioni in bianco in certe ditte per utilizzarle in caso di gravidanza. O la disparità di stipendio a parità di lavoro, o la difficoltà a raggiungere ruoli di direzione, salvo eccezioni di donne potenti e già privilegiate. E ancora le leggi scritte sopra i nostri corpi, il rischio di aborti clandestini per obiezione di coscienza dei sanitari, i tribunali in cui la vittima è, talvolta, giudicata prima ancora del carnefice (Aveva bevuto? Com’era vestita? Lo sciopero delle donne, comunque, non è una novità assoluta. Già la mitologia ci aveva fatto conoscere, grazie ad Aristofane, il personaggio di Lisistrata che avrebbe indotto altre donne all’astensione dal sesso per indurre i mariti a por fine alla guerra. Una commedia, ma ha creato un archetipo. Molto più tardi, a inizio Novecento, hanno scioperato per motivi di genere le camiciaie di New York, poi le operaie dell’allora Pietrogrado. Infine, oggi, hanno rilanciato l’idea le donne argentine. Lo sciopero serve non solo per chi vive in Paesi «evoluti» ma anche o soprattutto per dar voce a chi non ce l’ha. Come le donne e le bambine del Terzo Mondo, dove non esiste il diritto-dovere all’istruzione, dove si praticano mutilazioni sessuali e si obbligano le adolescenti a nozze indesiderate e maternità precocissime, s’impongono abiti che nascondono corpo e il volto, e s’infliggono alle ribelli punizioni che possono arrivare, oltre alle frustate, alla lapidazione. Intendiamoci: non tutti gli uomini sono orchi narcisisti e crudeli, ci sono anche quelli intelligenti, collaborativi, affettivi. Bene, devono moltiplicarsi. E le donne non sono tutte angeli, ci sono le aggressive, le pigre, le capaci di crudeltà. Male, devono cambiare. Ma le ragazze, anche se non hanno ancora capito cos’è il femminismo e disdegnano la parola, sono in maggioranza brave a scuola, all’università si laureano prima dei loro coetanei anche in facoltà un tempo «maschili», e, se trovano lavoro, lavorano bene. Non vogliono il potere, ma la parità e la libertà. Sperano nell’appoggio maschile ma intanto solidarizzano fra loro più di un tempo. Insomma l’8 marzo di lotta e non di festa punta alla messa in crisi di vecchi modelli antropologici e sociali, al ribaltamento degli ingiusti rapporti di forza.