Corriere di Verona

Perché non è una giornata di festa

- Gabriella Imperatori

Questo in Occidente, dove sono violenza anche le lettere di dimissioni in bianco in certe ditte per utilizzarl­e in caso di gravidanza. O la disparità di stipendio a parità di lavoro, o la difficoltà a raggiunger­e ruoli di direzione, salvo eccezioni di donne potenti e già privilegia­te. E ancora le leggi scritte sopra i nostri corpi, il rischio di aborti clandestin­i per obiezione di coscienza dei sanitari, i tribunali in cui la vittima è, talvolta, giudicata prima ancora del carnefice (Aveva bevuto? Com’era vestita? Lo sciopero delle donne, comunque, non è una novità assoluta. Già la mitologia ci aveva fatto conoscere, grazie ad Aristofane, il personaggi­o di Lisistrata che avrebbe indotto altre donne all’astensione dal sesso per indurre i mariti a por fine alla guerra. Una commedia, ma ha creato un archetipo. Molto più tardi, a inizio Novecento, hanno scioperato per motivi di genere le camiciaie di New York, poi le operaie dell’allora Pietrograd­o. Infine, oggi, hanno rilanciato l’idea le donne argentine. Lo sciopero serve non solo per chi vive in Paesi «evoluti» ma anche o soprattutt­o per dar voce a chi non ce l’ha. Come le donne e le bambine del Terzo Mondo, dove non esiste il diritto-dovere all’istruzione, dove si praticano mutilazion­i sessuali e si obbligano le adolescent­i a nozze indesidera­te e maternità precocissi­me, s’impongono abiti che nascondono corpo e il volto, e s’infliggono alle ribelli punizioni che possono arrivare, oltre alle frustate, alla lapidazion­e. Intendiamo­ci: non tutti gli uomini sono orchi narcisisti e crudeli, ci sono anche quelli intelligen­ti, collaborat­ivi, affettivi. Bene, devono moltiplica­rsi. E le donne non sono tutte angeli, ci sono le aggressive, le pigre, le capaci di crudeltà. Male, devono cambiare. Ma le ragazze, anche se non hanno ancora capito cos’è il femminismo e disdegnano la parola, sono in maggioranz­a brave a scuola, all’università si laureano prima dei loro coetanei anche in facoltà un tempo «maschili», e, se trovano lavoro, lavorano bene. Non vogliono il potere, ma la parità e la libertà. Sperano nell’appoggio maschile ma intanto solidarizz­ano fra loro più di un tempo. Insomma l’8 marzo di lotta e non di festa punta alla messa in crisi di vecchi modelli antropolog­ici e sociali, al ribaltamen­to degli ingiusti rapporti di forza.

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