Pfas, i carabinieri del Noe nella sede della Miteni Sequestrati documenti e pc
Falsi certificati e controlli alterati, sondaggio choc su 54 medici. L’appello: «Denunciate»
Inchiesta sull’inquinamento da Pfas. Blitz dei carabinieri del Noe ieri mattina negli stabilimenti della Miteni in Veneto e in Lombardia e di una sede amministrativa a Milano, con un obiettivo chiaro: perquisizioni e sequestri di materiale «utile all’indagine» come documenti amministrativi e sanitari ma anche computer portatili e cd.
Il 57 per cento dei veterinari veneti ammette di aver subito pressioni per cambiare atteggiamento nello svolgimento della professione. E il 24% preferisce non rispondere. Si è aperto così, con l’esito di un sondaggio rivolto a 54 medici e realizzato dalla Federazione regionale medici veterinari, il dibattito sul fenomeno della corruzione e delle infiltrazioni mafiose in ambito sanitario e veterinario co-organizzato da Frov, Università di Padova e Associazione antimafia Libera. Entrando nel dettaglio delle interferenze, avvenute sia nella sfera della libera professione (58%) che delle Usl (16%), il 68% degli intervistati parla di «semplici» pressioni, mentre il 6% denuncia vere e proprie minacce e il 26% non specifica. Che siano clienti (36%), superiori (13%), colleghi (6%) o clienti e colleghi in sinergia (13%), gli autori chiedono soprattutto falsificazioni di certificati (23%) e modifiche a controlli, referti o sanzioni (16%).
Ad Agripolis c’era anche il sostituto procuratore padovano Benedetto Roberti, che si occupa di indagini su alimenti e salute da una decina di anni: «Ma per quanto riguarda la collaborazione in ambito veterinario siamo ancora all’anno zero – ha detto -. I veterinari appartengono a un comparto chiuso, che denota un deficit nello scambio di notizie: in passato ho dovuto tirare fuori le parole di bocca anche a persone corrette, che però non volevano parlare per motivi di gerarchia». Quando si parla di frodi alimentari, il supporto degli esperti è fondamentale: «Chi somministra sostanze illecite agli animali conosce molte tecniche per aggirare i controlli, mentre le Usl hanno pochi mezzi e anche poche metodiche di analisi - spiega Roberti -. Di solito si lavora con i carabinieri del Nas e i consulenti, ma i prelievi non bastano e le segnalazioni sono molto rare: se i veterinari si attivassero, si potrebbe scalfire l’omertà».
Poco più di un anno fa, Roberti ha smascherato un’organizzazione criminale che importava cuccioli dall’Ungheria senza libretti sanitari e microchip: «Purtroppo gli organi inquirenti hanno ben altro di cui occuparsi, ma il traffico degli animali d’affezione dall’estero è un pozzo senza fondo. Ho notato un certo disinteresse verso il fenomeno, come conferma la totale assenza del Corpo forestale dello Stato, eppure Padova è un crocevia: ogni weekend il casello dell’autostrada è pieno di auto e furgoni che trasportano cani e gatti da Ungheria e Slovacchia, destinati agli allevamenti dell’Emilia e del Veronese. La maggior parte degli animali venduti muore dopo pochi giorni e le autopsie dimostrano che le patologie sono di vecchia data».
Tra le note dolenti c’è quella del maltrattamento sugli animali: «Anche in questo settore c’è una carenza di controlli e interventi. In assenza del Corpo forestale, le uniche segnalazioni dei cittadini arrivano dalle associazioni zoofile con funzione di polizia giudiziaria». Insomma, il clima è tutt’altro che idilliaco. E la conferma arriva dai diretti interessati: «Qualche anno fa ho ricevuto una pallottola e una lettera minatoria – dice Aldo Costa, dirigente veterinario dell’Uls 6 -. L’onestà è fondamentale, perché le occasioni per peccare sono tante. Nel nostro lavoro siamo soli e non dobbiamo aver paura: tutti abbiamo avuto chi ci ha messo le mani addosso o ci ha offesi, ma spesso è meglio lasciar correre. Invece chi ha sentore che un collega non si comporta bene deve denunciarlo, perché non tutte le voci sono reali e non c’è niente di peggio della calunnia».
Roberti
I veterinari sono un comparto chiuso, che comunica poco