Chi ha sbagliato
I flussi di traffico sovrastimati, il «rischio pedaggi» a carico della Regione, i costruttori senza soldi: cosa non ha funzionato in questi 10 anni. La difesa: «Colpa della crisi e delle nuove regole»
Chi ha sbagliato, nel pasticciaccio brutto della Pedemontana? Chi ha commesso gli errori per cui ora devono pagare (letteralmente) i veneti? Come si è arrivati a questo punto? Nello sfogatoio della Rete finiscono nel mezzo un po’ tutti, la politica, le imprese, i controllori che non hanno controllato e chi ha messo in fila i timbri. È partita la caccia ai responsabili, che ruota essenzialmente attorno a tre domande: chi diede il via libera ai flussi di traffico su cui si basa il project financing, rivelatisi a distanza di anni totalmente sballati? Chi accettò che il rischio di un ammanco nell’incasso dei pedaggi venisse scaricato sulla Regione? Com’è possibile che un’opera da 2 miliardi sia stata affidata ad un’impresa che adesso ammette di non riuscire a trovare i soldi per chiudere i cantieri?
La vicenda è intricata, si diluisce in 11 anni (a volerla fare breve, perché si potrebbe andare indietro fino al 1990), incrocia politica, burocrazia e aule di tribunale, così che additare un colpevole soltanto, con nome e cognome, è impossibile. Basti pensare che il progetto della Pedemontana ha convinto nel tempo la Regione (dalla commissione aggiudicatrice al Nucleo per la valutazione degli investimenti - il Nuvv -, passando per la commissione Via), i sindaci con i loro consigli comunali, il Cipe, i ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia, e perfino i molti, documentati e penetranti rilievi mossi dalla Corte dei conti e dall’Anac non sono infine sfociati in alcunché, almeno per il momento.
I flussi di traffico, che sono l’origine dei guai del Consorzio di costruttori Sis con Cassa depositi e prestiti e la Bei, risalgono allo studio del 2003 del promotore del project, e cioè l’Ati capitanata da Impregilo tra le cui fila comparivano le concessionarie autostradali e molte imprese del Nordest (da Mantovani a Maltauro): «Sulla Pedemontana passeranno 33 mila veicoli al giorno» si disse e con l’eccezione dei giudici del Tar di Venezia, che nel 2008 (poi ripresi dalla Corte dei conti) avvertirono: «Le stime possono rivelarsi inverosimili o eccessivamente ottimistiche», nessuno ha mai messo in dubbio nulla. Non la Regione, presidente Giancarlo Galan e assessore alle Infrastrutture Renato Chisso, non la commissione di gara guidata dal dirigente regionale Stefano Angelini, non il segretario delle Infrastrutture Silvano Vernizzi, poi nominato commissario dell’opera. Anzi, secondo il Nuvv i numeri sarebbero stati perfino più alti, 1 miliardo di veicoli all’anno. «All’epoca quella cifra era in linea con i dati di traffico di tutta Italia - è sempre stata la difesa della Regione, ribadita ancor oggi - ma dal 2006, anno di aggiudicazione del project, a oggi, è cambiato il mondo, c’è stata la crisi». La prova starebbe nel fatto che anche altri project simili sono ora in panne per lo stesso motivo: Asti-Cuneo, BreBeMi, Pedemontana Lombarda. Ora per Cdp e Bei non si va oltre i 15 mila veicoli giorni e pure la Regione - che dal 2006 all’altro ieri non aveva più commissionato studi indipendenti - è stata costretta a ritararsi a 27 mila.
Poi c’è la questione della «clausola di garanzia», com’è stata ribattezzato l’obbligo per la Regione di ripianare eventuali cali patiti da Sis nell’incasso dei pedaggi. Il codicillo c’era già nella convenzione del 2009 e, raccontano i tecnici di ieri e di oggi, «era la regola per i project autostradali, al tempo si faceva così: sul concedente gravava il rischio della domanda, sul concessionario quello della costruzione e della successiva disponibilità». Le alternative consentite dalla legge e previste dalle parti, oltre alla rescissione del contratto che però prevedeva un indennizzo pari al 10% dei ricavi a favore di Sis, erano la revisione delle tariffe oppure l’allungamento della concessione (nel caso della Pedemontana fissata in 39 anni) ma queste due eventualità sono state eliminate nel 2013 quando, governatore Luca Zaia e assessore sempre Chisso, la Regione decise di ritoccare l’accordo con Sis, lasciando solo l’opzione «ripiano», mitigata da una franchigia del 5%. A quel punto, se la Regione non avesse pagato, sarebbe stata inadempiente e via di cause e penali. E se avesse deciso invece di pagare? Alla luce dei nuovi flussi di traffico la stima di Palazzo Balbi è che si sarebbero dovuti pagare 9,5 miliardi. «Il Veneto sarebbe andato in default».
E veniamo alla solidità di Sis. Quando venne avviato il project, nel 2006, le regole sul punto erano assai meno rigorose di oggi. Innanzitutto era sufficiente presentare una fidejussione pari al 10% del valore dei lavori (all’epoca la Pedemontana costava 1,6 miliardi, quindi parliamo di 160 milioni), ridotta al 5% se l’impresa disponeva del certificato di qualità (era il caso di Sis, e scendiamo a 85 milioni). Poi non esisteva l’obbligo, introdotto da una norma del 2016, di prevedere nel contratto un termine per il closing bancario. Oggi è di 24 mesi, allora, semplicemente, non c’era. Sis, forte anche dell’asseverazione data al suo Piano economico finanziario da Credito Cooperativo e Banca Agrileasing, ha sempre affermato che trovare i soldi non sarebbe stato un problema. E invece è diventato il più grosso dei problemi. Cdp si è messa di traverso nell’emissione del bond da 1,6 miliardi da parte di JP Morgan (nonostante un anno prima si fosse offerta con Intesa e Unicredit di finanziare Sis) facendo leva proprio sulle nuove stime di traffico ribassate. E ora, se una cosa è sicura, è che la Pedemontana non sarà affatto «una strada pagata dai privati» com’è sempre stato sbandierato.
Riassumendo: a far domande in giro le risposte sono sempre quelle. Dietrologie a parte, è stata colpa del mercato, della crisi, delle regole che sono cambiate. Tutti colpevoli, insomma. E nessun colpevole.