Nuova accusa contro i tre medici arrestati al Sert
Indagini chiuse: a Serpelloni, Bosco e Gomma contestata una nuova tentata concussione
Doccia gelata per tre dei sei indagati su cui il pm Paolo Sachar ha appena chiuso l’«inchiesta Sert». Contro i medici Giovanni Serpelloni, Oliviero Bosco e Maurizio Gomma spunta un’accusa in più.
VERONA Doccia gelata per tre dei sei indagati su cui il pm Paolo Sachar ha appena chiuso l’ «inchiesta Sert». Tra le righe dell’avviso di fine-indagini scattato nelle scorse ore dalla procura scaligera, infatti, è emersa la contestazione di una nuova - e finora inedita - accusa in più ipotizzata dagli inquirenti nei confronti di Giovanni Serpelloni (il direttore del dipartimento anti dipendenze che, salvo sorprese, dovrebbe rientrare al lavoro il 3 maggio prossimo, dopo essere stato sospeso dall’incarico per 11 mesi su decisione del Tribunale del Riesame di Venezia) e dei due colleghi Maurizio Gomma e Oliviero Bosco.
Tutti e tre finirono ai domiciliari a maggio 2016 su ordine del gip Luciano Gorra, poi i magistrati lagunari li liberarono sospendendoli per periodi diversi dal servizio: attualmente Bosco e Gomma sono giù rientrati in attività, seppure in uffici differenti, mentre Serpelloni sta ancora scontando la lontananza forzata dal lavoro.
Attendevano insieme ai tre coindagati Claudia Rimondo, Andrea Cacciatori e Luca Canzian la fine dell’inchiesta penale per predisporre la strategia difensiva da adottare: un caso che, adesso, il pm Sachar ha chiuso aggiungendo un’ulteriore accusa di «tentata concussione» ai tre medici.
Nell’avviso di fine indagini, a riguardo, si sostiene per l’esattezza che «Serpelloni, allora capo del dipartimento delle politiche antidroga del governi e attualmente direttore del Sert dell’Usl 20 di Verona, in concorso con Gomma e Bosco, abusando della loro qualità e dei loro poteri», avrebbero «costretto Corrado Bettero, legale rappresentante della società Ciditech srl, a consegnare loro indebitamente i codici sorgenti della piattaforma software mFp di esclusiva proprietà dell’Usl 20 che in data 10 settembre 2014 depositavano presso la Siae».
Una nuova accusa, questa, che si ricollega direttamente a alle altre contestazioni già note: secondo gli inquirenti, i tre avrebbero preteso illegittimamente dalla società assegnataria dell’assistenza e manutenzione del software usato da oltre 200 Usl in tutta Italia per la gestione dei dati sulle tossicodipendenze, la Ciditech, dapprima una percentuale sulle somme incassate e successivamente, a nome dell’Usl 20 ma in realtà all’insaputa della direzione generale, 100mila euro a titolo risarcitorio. Inoltre, sempre in base alle accuse contestate agli indagati, la successiva gara d’appalto indetta per affidare la gestione del software sarebbe stata «pilotata» e assegnata, a una società compiacente. Contestazioni che collidono frontalmente con le tesi delle difese da cui invece si sottolinea come a loro tre non sarebbe venuto in tasca alcunché mentre a guadagnarci, secondo la loro versione, sarebbe stata solo Ciditech, detentrice di contratti con le 200 Usl per la manutenzione e l’assistenza del software. A detta dei tre medici, a un certo punto avrebbero iniziato a ricevere lamentele dalle altre Usl per i costi dei contratti con Ciditech, ragion per cui avrebbero prospettato al legale rappresentante la possibilità di dare un contributo all’Usl 20 e alla Caritas. Un caso, comunque, tutt’altro che giunto al capolinea e che continua a riservare nuove pagine da scrivere. La «penna», ora, passa alle difese prima che il pm chieda il processo per tutti e sei.