Letti e muri scrostati Quando in prigione finiscono i ragazzini
I muri scrostati, le brandine addossate l’una all’altra e un vecchio telefono a gettoni appeso alla parete.
Le ultime immagini degli interni del carcere minorile di Treviso, sono quelle diffuse dai rappresentanti della Uilpa Penitenziari che nel 2015 visitarono la struttura nell’ambito dell’iniziativa «Lo scatto dentro, perché la verità venga fuori». In pratica, una rapida ispezione che terminò con un dossier fotografico. E il bilancio non fu certo dei migliori: spazi ristretti e, spesso, sovraffollati.
La struttura, che sorge nel quartiere di Santa Bona, fu realizzata intorno agli anni Quaranta. Un tempo era la sezione dei detenuti politici per reati di terrorismo, poi la sezione femminile. «Dal 1981 è istituto per i minori, l’unico in Italia a essere ancora inserito in una struttura penitenziaria per adulti», sottolinea l’associazione Antigone, che si batte per i diritti dei carcerati.
Oggi l’istituto si presenta suddiviso in due aree. C’è il centro di prima accoglienza, all’interno del quale spesso vivono i minori ancora in attesa della decisione del giudice. E c’è il carcere vero e proprio, dove probabilmente andrà a scontare la sua pena anche il sedicenne padovano arrestato con l’accusa di aver ucciso il padre con un colpo di fucile alla testa. Nel tardo pomeriggio di ieri, è stato trasferito dalla sala per gli interrogatori della caserma dei carabinieri di Padova - dove ha confessato il delitto - direttamente a Treviso.
Il carcere minorile - anche se in realtà alcuni detenuti hanno più di vent’anni - è pensato per ospitare al massimo dodici persone ma, quando i sindacati fecero l’ispezione, gli «ospiti» erano quindici con il risultato che in una stanza dormivano in quattro.
Per Gennarino De Fazio, segretario nazionale della Uilpa Penitenziari, la situazione della casa circondariale «è lontana dal raggiungere i parametri di civiltà e di dignità che si addicono a un moderno paese democratico». All’epoca, il sindacalista mostrò le fotografie scattate all’interno: letti arrugginiti in stanze disadorne, mattonelle staccate dalle pareti dei bagni, poca o nessuna privacy.
Che la situazione non sia delle migliori, lo conferma quanto accaduto nel settembre scorso: una rivolta inscenata da tre ragazzi, che prima hanno cercato di creare scompiglio all’interno del carcere e poi - come estrema forma di protesta - hanno ingoiato delle lamette, finendo all’ospedale.
Molti dei giovanissimi detenuti (alcuni hanno appena 14 anni) sono stranieri. A volte si tratta di migranti sbarcati a Lampedusa con in tasca qualche dose di droga da rivendere ai coetanei italiani, ma ci sono anche ragazzini accusati di reati violenti.
Le guardie e i volontari delle associazioni che operano a Santa Bona, provano ad offrire loro una chance per quando torneranno liberi. Ci sono dei corsi per creare prodotti grafici, brochure e locandine. Altri frequentano lezioni di teatro e di musica. Ma per molti è difficile scovare tra quelle mura l’opportunità di una nuova vita.
La denuncia Secondo la Uilpa, la struttura «è lontana dal raggiungere parametri di civiltà e degnità»