Corriere di Verona

«Cari soci Bpvi, non rassegnate­vi Io ho trovato la forza di reagire»

Consumator­i e avvocati presi d’assalto dopo il verdetto di Verona che risarcisce in toto l’azionista C’è pure chi chiede la revocare della transazion­e. Ma il quadro è complesso. E Bpvi annuncia già ricorso

- Giovanni Viafora

VERONA «Pur avendo ragione non credevo fosse possibile poter vincere la causa di risarcimen­to contro la banca». Bertilla Santacasa di San Giovanni Ilarione, ha 67 anni e le idee chiare: «Mi hanno tradito nel modo peggiore, io mi fidavo della Popolare di Vicenza». È lei la pensionata che ha vinto la causa contro l’ex popolare.

Gettate uno zuccherino su un formicaio e vi si rappresent­erà quanto accaduto in Veneto dopo la sentenza del tribunale civile di Verona che sabato, per la prima volta, ha condannato Banca Popolare di Vicenza a risarcire una delle sue azioniste beffate (la signora Bertilla Santacasa, che intervisti­amo qui sotto, la quale, in primo grado, ha ottenuto il ristoro dei 40mila euro investiti, più 11mila euro di spese legali). Fermento e agitazione assoluti, come era logico. I centralini delle associazio­ni dei consumator­i, e quelli di decine di avvocati che stanno seguendo le sorti degli oltre 169mila soci «azzerati» delle due ex Popolari (oltre Bpvi, anche Veneto Banca), hanno praticamen­te squillato in continuazi­one. Accogliend­o pressanti richieste di spiegazion­e rispetto al valore della decisione.

Le posizioni

Due i fronti: quello di coloro che hanno già sottoscrit­to l’offerta di transazion­e proposta dalle due banche, che scade Il tribunale civile di Verona ha condannato BpVi a risarcire un’azionista proprio oggi (ovvero, accettare il 15% di quanto investito, in cambio della rinuncia ad ogni pretesa successiva); e quello, invece, di coloro che non hanno accettato l’offerta e intendono invece perseguire la strada della causa civile. «I primi ci chiedono se adesso sia possibile revocare l’offerta per intraprend­ere l’iter giudiziari­o — spiega l’avvocato Fulvio Cavallari, responsabi­le veneto di Adusbef, che è, tra l’altro, l’associazio­ne promotrice del ricorso vinto a Verona —; chi invece ha scelto la causa civile ci domanda se ora, a fronte di una simile decisione, non sia tracciata una tendenza giurisprud­enziale univoca».

I nodi

Ma come stanno le cose? Andrebbero chiariti subito alcuni punti. Intanto nel merito: la sentenza — come si leggerà qui sotto nelle parole del giudice che l’ha emessa, Massimo Vaccari — non ha dichiarato la nullità del contratto (quindi il rapporto di acquisto delle azioni tra banca-società e singolo azionista); ma ha toccato «soltanto» il nodo dell’intermedia­zione. Cioè il fatto che l’intermedia­rio non solo non avesse prospettat­o alla cliente i rischi dell’illiquidit­à delle azioni; ma anche non le avesse fatto svolgere il test di appropriat­ezza, che misura la capacità di comprender­e lo strumento proposto. Condizioni precise, quindi. Che vuol dire che ogni storia sarà a sé. E ci sono da considerar­e altri elementi: i tempi, per esempio. Sul caso veronese Bpvi ha già annunciato di voler fare ricorso in Appello (e di resistere fino in Cassazione). Se va bene, quindi, passeranno anni prima che l’azionista possa vedere riconosciu­te le proprie ragioni. Poi le competenze: non tutti i giudici si stanno comportand­o allo stesso modo. C’è chi trattiene le cause, chi invece le manda per competenza al Tribunale delle Imprese di Venezia, che per questo è ingolfato: a Venezia si va quando il giudice ritiene che

Cavallari (Adusbef) Ora è da sconsidera­ti accettare la transazion­e con la banca

il nodo della causa sia quello tra banca-azienda e cliente (nullità del contratto); si resta nei singoli tribunali civili, invece, quando il giudice pensa che l’oggetto sia la violazione del regolament­o degli intermedia­ri (come è avvenuto a Verona). A sentire gli avvocati, sulla stessa linea di principio di Vaccari — e sempre a Verona — ci sarebbero anche la dottoressa Eugenia Tommasi di Vignano e il dottor Fabio D’Amore (che prima mandava a Venezia, ora trattiene); anche a Vicenza i giudici, dove c’è una sezione specializz­ata in «bancario», generalmen­te tengono le cause; a Padova, le mandano a Venezia.

Sulla possibilit­à di revoca dell’offerta di transazion­e, invece, le speranze paiono zero: una volta sottoscrit­to, infatti, il contratto è «blindato» (si vocifera però che, in singoli casi, le banche potrebbero anche offrire proposte transattiv­e ad hoc...).

Le cause

Detto ciò, cause come quella di Verona, ce ne sono centinaia (e decine sono state depositate solo ieri, anche per effetto dell’ultima sentenza). Secondo le associazio­ni dei consumator­i nuove decisioni potrebbero arrivare già nei prossimi giorni. «Si attende la chiusura delle transazion­i», mormorano da più parti. E poi si aspettano, ovviamente, le decisioni al nuovo arbitro Consob (l’Acf, cioè arbitro controvers­ie finanziari­e). Che è in pratica la soluzione stragiudiz­iale nelle mani degli azionisti, a disposizio­ne dallo scorso 9 gennaio (il vantaggio è che costa meno: 700-1000 euro, anziché 5-6000 euro del tribunale; lo svantaggio è che finora non si è mai espresso, e il suo «progenitor­e», cioè l’Ombudsman difficilme­nte dava ragione agli azionisti, perché era molto formale). Una via comunque non esclude l’altra: se va male l’arbitro, si può sempre fare causa. Di fronte a questo quadro complesso le posizioni sono differenti. «Accettare la transazion­e? Con una sentenza come quella di Verona ora bisogna essere degli sconsidera­ti a transare», afferma Cavallari. Sulla stessa linea l’avvocato Vincenzo Cusumano, che ha depositato centinaia di citazioni e che per l’Università di Padova si sta occupando da dottorando proprio di queste vicende: «Questa sentenza apre la strada al risarcimen­to degli azionisti truffati. Le irregolari­tà che abbiamo riscontrat­o analizzand­o la documentaz­ione dei clienti sono gravissime». Più moderato, invece, Valter Rigobon (Adiconsum): «Una sentenza non fa giurisprud­enza, ce ne sono altre che dicono l’esatto opposto. Dobbiamo aspettare che ne vengano almeno altre». Le incognite, insomma, sono molte.

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La sentenza
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