Dai primi successi a Gomorra, Garrone si racconta
L’opera di esordio che fece gridare a una nuova stagione del cinema, i retroscena su Gomorra e sulla sceneggiatura scritta con Saviano, le aspirazioni artistiche da giovanissimo: la serata con il grande regista napoletano
Sono state alcune scene dai backstage dell’Imbalsamatore ad aprire ieri sera al Filarmonico l’incontro, il quarto, della rassegna di Idem (che gode del patrocinio della Fondazione Corriere della Sera) con Matteo Garrone.
Il regista ha disertato, per essere a Verona, la celebrazione dei David di Donatello dove, come vincitore della precedente edizione, avrebbe dovuto consegnare il premio per la miglior regia. È dall’Imbalsamatore, film del 2002, vincitore di un David di Donatello, che Marco Ongaro, in dialogo sul palco con lui, ha scelto di iniziare a svelare il percorso del regista. «Un film – ha detto Ongaro – che riceve molti riconoscimenti, tanto da far parlare di una nuova stagione del cinema italiano». Fare cinema per Garrone, che da ragazzino sognava di fare il pittore («dipingevo in maniera figurativa, caravaggesca») significa partire sempre da un’idea, appunto, figurativa.
Tra episodi di backstage e sogni, Garrone racconta di come dietro alla macchina da presa si debba anche tenere il filo delle relazioni che si costruiscono tra gli attori, come tra i protagonisti dell’Imbalsamatore: «Tra loro si era instaurata una vera antipatia, si odiavano, e io dovevo tenerli al guinzaglio. E poi, nella scena sul campo da golf dove la tensione tra i due esplode, è bastato lasciarli andare...». Realtà che miracolosamente aiuta la recitazione. Fin da questo film così come in Gomorra, tratto dal best seller mondiale di Roberto Saviano, «diventato fin da subito – ha detto Ongaro - un classico del cinema internazionale» (ha vinto il Gran Prix della giuria al Festival di Cannes del 2008), la cronaca e la realtà forniscono la materia con cui misurarsi. «Ma poi –
ha spiegato Garrone - bisogna anche misurarsi con la verosimiglianza artistica, che è un’altra cosa».
Sembra essere qui, su questo delicato equilibrio, come si scopre man mano che scorrono sullo schermo gli spezzoni e Garrone ne svela i segreti, che si gioca il ruolo del regista e la sua arte. Si scopre come rispetto al romanzo di Saviano e alla sceneggiatura scritta con lui, alcune scene sono cambiate: «Restando in quei luoghi e imparando a conoscerli dall’interno, mi sono accorto che
i camorristi erano diversi da come me li immaginavo. A volte accade che proprio dall’osservazione diretta della realtà nascono le idee». Un film nato dunque sul campo, «quando ancora Saviano non era conosciuto e non aveva ricevuto minacce di morte, mentre solo alcuni mesi dopo sarebbe stato costretto a girare sotto scorta». E da quel momento la situazione non è più cambiata. «Ho raccontato quel mondo di criminalità – ha svelato il regista - nello squallore in cui l’ho vissuto, sempre cercando di essere onesto intellettualmente, senza avere idee preconcette, raccontandolo senza filtri, anche facendo ricorso a persone che di quel mondo fanno parte». E ancora il rapporto, distorto, con la realtà nelle scene di Reality, film che narra di lustrini tv e di povere illusioni. Il prossimo appuntamento della rassegna di Idem sarà lunedì 24 aprile, sempre alle 21 al Filarmonico, con Alessandro Piperno e il suo racconto di Anna Karenina.