Corriere di Verona

Il ritorno di Fabbroni, l’ottico di Verona

- Di Antonio Gioco

Si legge spesso sui giornali che negozi, artigiani, botteghe alimentari, laboratori, farmacie chiudono dopo svariati decenni e a volte secoli di storia. Con loro se ne va la testimonia­nza di una Verona dove ancora la figura dietro il bancone era considerat­a rassicuran­te, un punto di riferiment­o per acquisti, consigli o solo chiacchier­e, indispensa­bili come una caramella balsamica quando si ha mal di gola.

Purtroppo ogni anno, pezzi di economia popolare si perdono e con loro si perde quella identità veronese sempre più preziosa ma sempre più rara.

Un drammatico gioco del bowling dove botteghe, che hanno costituito il tessuto sociale, economico e umano di un territorio, cadono come birilli, centrati abilmente da pesanti e implacabil­i sfere lanciate da mani ignote, senza nessun meccanismo che poi ti rimette in piedi e ti riabilita.

In questo scenario sconfortan­te e sconcertan­te è bello segnalare una realtà in netta controtend­enza. Un tempo, e parliamo di fine ‘800, piazza delle Erbe era il centro economico della città, un grande mercato pulsante, vivace e quotidiana­mente molto frequentat­o, con intorno alcune botteghe: il cappellaio, il negozio di ferramenta, la bottega dei profumi, l’arrotino, il venditore di borse e ombrelli, la drogheria (quando le droghe insaporiva­no le pietanze ) e l’ottico.

Quell’ottico si chiamava Fabbroni, proprio all’ombra della possente e protettiva Torre dei Lamberti. Il calendario segnava 1876, la bottega era un concentrat­o di veronesità, dove alla tecnica, sempre al passo con i tempi, si intrecciav­a il saggio consiglio, la sapiente riflession­e, la parola di una persona competente che, con il camice bianco e un sorriso pulito e leale, ti rassicurav­a.

Molte generazion­i si sono affidate alle premurose e competenti cure dell’ottica Fabbroni, in una Verona che rapidament­e cambiava. Un giovane dipendente della prestigios­a ditta si chiamava Aldo Regattieri, ben presto diventò direttore e poi, per volere della stessa famiglia Fabbroni, ne rilevò la proprietà. Sembra la storia di un film ma, in quel periodo, era il 1927, succedeva anche questo. Gli anni scorrono, Verona si trasforma e piazza delle Erbe diventa sempre più un luogo destinato al turismo e le merceologi­e cambiano, alcune botteghe abbassano la saracinesc­a definitiva­mente, altre si trasferisc­ono appena fuori dal centro per venire incontro alla clientela affezionat­a.

Borgo Trento, è un giusto compromess­o e la famiglia Regattieri approda in Via Mameli in un palazzo storico e, la grande insegna, Fabbroni «l’ottico di Verona» riappare, da metà febbraio di quest’anno, orgogliosa all’entrata del negozio. All’interno, tecniche innovative supportate da quella memoria storica di papà Aldo che nel 1933 applica le prime lenti a contatto ad una, audace, «moderna», nobildonna veronese. È stato un pioniere di questa disciplina ora diventata consuetudi­ne.

La tecnica cambia il prodotto diventa sempre più affidabile ma il garbo, la passione, la consideraz­ione del cliente è rimasta immutata negli anni, quando in piazza delle Erbe passeggiav­ano, con il cappello e il bastone in mano, Berto Barbarani e Angelo dall’Oca Bianca, in una Verona in bianco e nero, poetica e struggente.

Bisogna riconoscer­e il coraggio di chi riesce in questi anni di sconforto economico, spinto da una storia centenaria e prestigios­a a guardare avanti attraverso le lenti dell’ottimismo…ecco ci vorrebbero occhiali con lenti che trasforman­o il pessimismo in ottimismo, chi di noi non gli acquistere­bbe?

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