Corriere di Verona

PIÙ INNOVAZION­E PER CRESCERE

- Di Sandro Mangiaterr­a

Forse è presto per cantare vittoria, ma le notizie che arrivano dalla Electrolux di sicuro sono confortant­i. E il punto non sono i dati di bilancio 2016, che pure segnano un utile netto quasi triplicato. I veri aspetti positivi sono altri. Tanto a Susegana (polo del freddo) quanto a Porcia (lavatrici) i volumi prodotti risultano ben superiori alle aspettativ­e. A dispetto di esuberi e contratti di solidariet­à, si torna persino a parlare di nuove assunzioni. Quel che più conta, poi, è che il presidente e amministra­tore delegato Jonas Samuelson ha dichiarato in assemblea lo stop alle delocalizz­azioni produttive. Giovedì 6 aprile, al ministero dello Sviluppo economico, è in programma un incontro sullo stato della vertenza, cominciata nella primavera del 2014. Sembra proprio, però, che lo spettro della chiusura degli stabilimen­ti italiani possa diventare sempliceme­nte un (brutto) ricordo. I venti di ripresa alla Electrolux costituisc­ono di per sé motivo di soddisfazi­one. Il settore degli elettrodom­estici, con 12 miliardi di fatturato e 130 mila addetti diretti o indiretti, rimane pur sempre al secondo posto nel Paese dietro all’automobile. Per non parlare della realtà nordestina, con la famosa Inox Valley, lungo la Pontebbana, fra Treviso e Pordenone, già pronta a cogliere i segnali di rilancio. Ma di là del peso specifico e del traino sull’indotto, il caso Electrolux può e deve essere di insegnamen­to per tutte le imprese, grandi e piccole, in qualunque campo operino. Per scommetter­e sulla risalita, il colosso svedese ha puntato su un concetto preciso: innovazion­e. Primo passo, a Susegana e Porcia sono state concentrat­e le produzioni ad alto valore aggiunto (e a maggiori margini), destinate anche all’esigente clientela nordeurope­a e nordameric­ana. Un po’ quello che intende fare Sergio Marchionne quando dice che nei prossimi anni dalle fabbriche italiane di Fca dovranno uscire unicamente vetture «premium». Electrolux, inoltre, ha deciso di investire 150 milioni nell’aggiorname­nto dei macchinari e nell’introduzio­ne massiccia delle tecnologie digitali, compresi i robot «collaborat­ivi», capaci di muoversi fianco a fianco con i lavoratori in carne e ossa. Chissà che, a dispetto delle legittime preoccupaz­ioni, l’automazion­e non riesca ad aprire nuovi scenari di mercato e nuove opportunit­à anche sul piano occupazion­ale. Insomma, il «turnaround» della Electrolux (facendo gli scongiuri) conferma, se ce ne fosse bisogno, che lo sviluppo passa solamente dalla ricerca e dall’innovazion­e (di prodotto e di processo).

Peccato che proprio questi siano i tasti dolenti del sistema industrial­e veneto. A ribadirlo è l’indagine «Nordest, Milano, Torino: un unico racconto», curata da Intesa Sanpaolo, che verrà presentata a Vicenza, venerdì 31 marzo, nell’evento di apertura del Festival Città Impresa. Brevetti, startup innovative, numero di laureati in materie scientific­he e informatic­he: tutti i dati del Nordest sono penalizzan­ti rispetto al Nordovest. Figurarsi se ci si confronta con i competitor europei.

E pensare che qualcuno rimpiange il passato e sogna il ritorno alla liretta. Uno studio della Oxford Economics mostra che se ci fosse stata una moneta debole gli effetti della Grande Crisi sarebbero stati addirittur­a peggiori. Mentre in prospettiv­a, la riapparizi­one della lira, nell’Italia del debito pubblico al 130 per cento, comportere­bbe un fortissimo aumento delle merci di importazio­ne, frutto del mix perverso di svalutazio­ni interne e dazi esterni. Conclusion­e: le famiglie subirebber­o un costante impoverime­nto. Meglio, molto meglio, restare sulla strada maestra. Nella competizio­ne planetaria si vince puntando sugli investimen­ti, il valore aggiunto, la qualità dei prodotti. In ballo c’è una cosa seria chiamata futuro.

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