Popolare di Vicenza, un rosso da 1,9 miliardi I timori di un bail-in
Incerti i fondi statali. Intanto si chiudono le transazioni: adesioni al 70 per cento
Quasi due miliardi di perdite nel 2016 per Bpvi. E una situazione operativa critica, con 1,2 miliardi di euro di raccolta diretta persi in sei mesi e di nuovo un «significativo deterioramento della liquidità» a marzo, sui timori di bail-in, con la necessità di emettere ora, dopo i 3 di febbraio, altri 2,2 miliardi di bond garantiti dallo Stato per rimettere sotto controllo la liquidità.
VICENZA Quasi due miliardi di perdite nel 2016. E una situazione operativa critica, con 1,2 miliardi di euro di raccolta diretta persi in soli sei mesi e di nuovo un «significativo deterioramento della liquidità» a marzo, con i depositi che torna a lasciare la banca di fronte allo spettro del bail-in che torna a profilarsi con le incertezze sull’aumento di capitale. Con la necessità di emettere ora, dopo i primi tre di febbraio, altri 2,2 miliardi di bond garantiti dallo Stato per rimettere sotto controllo la liquidità.
Ma almeno, per la Banca Popolare di Vicenza, c’è un dato positivo: dopo le perdite 2016, la dotazione di capitale, con il Cet1 sopra il minimo dell’8% fissato dalle regole europee, è sufficiente per coprire le perdite pregresse, essere considerati «solvibili» e poter compiere un aumento di capitale con i fondi dello Stato, dopo che Atlante e i suoi soci hanno nei fatti mollato le due ex popolari, o come traduce in termini più diplomatici la nota di Bpvi, senza che il fondo abbia definito «una chiara espressione di volontà di effettuare ulteriori interventi di sostegno patrimoniale» di fronte alle richieste partite per lettera da Vicenza. Al momento, per altro, se la ricapitalizzazione precauzionale è l’unica via percorribile, o altrimenti detto «la più realistica opzione di ricapitalizzazione» la trattativa con Bruxelles, che deve dare il via libera, è così complicata, da rendere «incerti» gli esiti di tutta la partita.
Una situazione precaria, con la necessità di far presto, d’intervenire d’urgenza. Per evitare che il malato muoia in sala operatoria, mentre i medici decidono con comodo il da farsi. Se c’erano ancora dubbi, bastano i dati del bilancio 2016 di Popolare di Vicenza, approvati ieri dal cda - quelli fotocopia di Veneto Banca arriveranno la prossima settimana, mentre intanto ieri il cda ha deciso di nominare gli advisor per vendere la controllata Banca Intermobiliare -, per capire che non c’è tempo da perdere.
Il bilancio è il più duro degli ultimi quattro anni di crisi: 1.902 milioni di perdita netta, rispetto agli 1,4 del 2015 che già allora parevano un record, più del doppio dei 795 milioni di «rosso» della semestrale, portando le perdite cumulate dal 2013 in avanti a superare i 4 miliardi. Un bilancio durissimo, con altri 1.078 milioni di svalutazioni sui crediti, 484 milioni in più di quanto messo già in conto con la semestrale, per far salire le coperture sulle sui crediti deteriorati dal 46 al 48% e delle sofferenze dal 61,3% al 62,16%. E con un 2017 che già si annuncia duro. La Bce non allenta la pressione, con una doppia ispezione, sui crediti tra giugno e settembre 2016, e sulla situazione dei prestiti «baciati», chiusa adesso. Risultato, come un diluvio sul bagnato, altre rettifiche in arrivo e altre perdite sul bilancio 2017. A questi si aggiungono le altre costose partite. Ad iniziare dalla rottura degli accordi con Cattolica. E poi c’è il capitolo operativo, che presenta una banca ulteriormente smagrita, dopo che già la semestrale aveva certificato una perdita di ricavi del 30% in un anno.
Nel giorno più cupo, filtra almeno uno spiraglio di luce: nelle quasi 500 filiali sparse sul territorio si firmavano le ultime transazioni. L’offerta, avviata il 10 gennaio, scadeva alle 13.30. E dei circa 94mila azionisti ai quali sono stati proposti 9 euro a titolo, in cambio della rinuncia ai contenziosi, in 66.712 hanno firmato. Ha accettato l’accordo il 71,9% dei soci (il 72,9 al netto delle posizioni irrintracciabili), portatori del 68,7% delle azioni acquistate negli ultimi dieci anni. La lista di chi ha aderito all’offerta è lunga. Si va dalla Fondazione Roi alla Cariprato, dalla Fondazione Banco di Sicilia fino alle Diocesi di Treviso e Vicenza. Stando alle indiscrezioni anche l’ex presidente Gianni Zonin avrebbe voluto transare per le 40mila azioni di proprietà (le altre 300mila sono intestate alle società di famiglia) ma la Popolare ha deciso di inibire l’accordo agli ex amministratori.