Cos’è cambiato in Veneto 20 anni dopo il «tanko»
Zaia: il filo della Storia unisce quel giorno al referendum di ottobre Bettin: la sinistra sia protagonista
Il Veneto di oggi, quello che ancora anela all’autonomia (senza però averla mai ottenuta) e si prepara al referendum del 22 ottobre prossimo voluto da Zaia , è anche figlio del manipolo di sedicenti «Serenissimi» che l’8 maggio del 1997 assaltarono il campanile di San Marco? Cosa è rimasto e cos’è cambiato vent’anni dopo l’assalto del «tanko» a Venezia.
Cosa resta, vent’anni dopo, di quell’assalto al Campanile? Che significato ha avuto, col senno di poi, quel gesto che i suoi ideatori avrebbero voluto rivoluzionario, per la giustizia italiana è stato criminale e per molti altri non è andato oltre la monada pane-e-salame? Il Veneto di oggi, che grida all’autonomia e si prepara con fermento al referendum del 22 ottobre, è forse anche un po’ figlio dei Serenissimi che la notte tra l’8 e il 9 maggio 1997 sbarcarono in piazza San Marco a bordo del famigerato «tanko»? Insomma, quella notte finita in diretta globale sulla Cnn ha davvero contribuito ad incanalare in un senso, piuttosto che in un altro, la Storia della nostra regione?
Massimo Cacciari, all’epoca sindaco di Venezia, è convinto di no: «Di quella notte lì non è rimasto niente». Clic. Eppure siamo ancora qui a parlare del «referendum di Zaia» e del consiglio regionale che venerdì si riunirà a Palazzo Ferro Fini, idealmente listato a lutto, per ricordare la caduta della Repubblica di San Marco il 12 maggio del 1797. Ancora attendiamo di sapere come finirà il processo ai «nuovi Serenissimi» accusati dalla procura di Brescia di associazione con finalità terroristiche, mentre quello a carico delle Camicie verdi, che pure a queste latitudini affonda le sue radici nell’indipendentismo lighista, si è concluso soltanto una settimana fa, dopo vent’anni, con in più la beffa per lo Stato di un risarcimento di 7.360 euro a favore degli accusati. Certo ai Serenissimi che assaltarono in armi il Campanile si sono sostituiti il «doge» Albert Gardin ed il suo «ricostituito Maggior Consiglio» che invadono Palazzo Ducale dopo aver pagato allo «Stato italiano occupante» regolare biglietto all’ingresso visitatori, ed è pur vero che i partiti indipendentisti, ogni volta che si sono presentati alle elezioni, non sono mai andati oltre il 3%. Ma questo 3% vale pur sempre 50 mila persone (e alle ultime Regionali i partiti erano due sicché il totale fa 100 mila) come sono centinaia le persone che ogni 25 aprile invadono piazza San Marco al grido «Veneto libero!» e molte migliaia quelle che non lo dicono ma col loro «voto utile» a Zaia in fondo in fondo un po’ ci sperano. Insomma, qui in Veneto passano gli anni, ma la storia non sembra mai riuscire a farsi Storia, la cronaca sta sempre lì, due passi più avanti, a farsi inseguire.
«Non sono pentito di ciò che ho fatto – dice Luigi Faccia, uno degli otto Serenissimi, condannato dalla Corte d’appello di Venezia a 3 anni e 5 mesi – ed anzi, penso che oggi più che mai servirebbe un movimento indipendentista forte. Nel 1997 la Storia remava contro di noi: il Veneto era ricco, si stava bene, perché combattere una guerra di liberazione? Ora, invece, il vento soffierebbe a favore: siamo vittime di una globalizzazione apocalittica che ci sta distruggendo, dell’Europa che già all’epoca noi indicavamo come matrigna, dell’invasione dall’Africa». Si torna sul Campanile, dunque? «Il passato è passato e non torna più. Abbiamo avuto il merito di risvegliare le coscienze, mai contro qualcuno, non tirammo manco una sberla, sempre e solo per il Veneto, e dopo di noi sono nate molte iniziative culturali e identitarie vive sul territorio. Sul fronte politico, invece, c’è ancora tanto da fare ma vabbè, si prende quello che viene. E il referendum di Zaia è sempre meglio di niente».
Il giudizio dei Serenissimi sulla chiamata al voto del 22 ottobre non è univoco (per Flavio Contin, «patriota ancora in lotta» e per questo sotto processo a Brescia, è ad esempio «un fallimento annunciato») eppure per il governatore Luca Zaia un filo ideale unisce quella notte del 1997 alla sua «chiamata di popolo» contro Roma, «il filo della Storia». L’assalto a San Marco, secondo Zaia, «ebbe il merito di portare la Questione Veneta al centro del dibattito politico e lo stesso accadrà col referendum. Ora come allora il Veneto, dopo, non sarà più quello di prima. Non è un caso che proprio dopo quell’episodio si sia accelerato in parlamento sulla riforma del Titolo V della Costituzione, poi conclusa nel 2001, che per prima ha abbozzato una qualche forma di autonomia». E però per il governatore c’è una differenza sostanziale tra ieri e oggi: «Nel 1997 era una piccola parte della popolazione a credere nel sogno autonomista-indipendentista, direi un’élite. Oggi, invece, la consapevolezza è diffusa, trasversale ai ceti sociali e alle ideologie, coinvolge anche i “nuovi veneti” e questo è un passaggio strategico, che ci fa passare dall’amarcord e le nostalgie all’attualità di una battaglia che guarda al futuro del nostro territorio. Di questo va dato merito ai Serenissimi ma anche alla Lega che ha fatto dell’identità un cardine della sua attività politica e di governo».
Il capogruppo del Pd, Stefano Fracasso, ha parlato di «venetismo passatista fuori luogo e fuori tempo», lontano dal sentire delle piccole e medie imprese che sono il nerbo del Veneto e «più dell’indipendenza chiedono interdipendenza e più Europa». In effetti, come un giano bifronte la nostra regione è allo stesso tempo tra le più ancorate alle proprie radici e tra le più proiettate nella globalizzazione che tanto spaventa Faccia (che poi, siamo sicuri che l’indipendentismo degli imprenditori sia identitario, marciano e Serenissimo e non piuttosto semplicemente - libertario, anti Stato e anti tasse?) in un continuo gioco di contraddizioni che mette in discussione anche la Sinistra. Come fa notare il sociologo Gianfranco Bettin, prosindaco di Venezia nel 1997 che pur temendo una «deriva da neo-statalismo regionalista» al referendum del 22 ottobre voterà Sì: «Capisco che Zaia e la Lega siano alla ricerca di miti fondativi ma farebbero un torto a loro stessi nel sostenere che sono stati i Serenissimi ad imporre nell’agenda politica, anche attuale, temi come il federalismo o l’autonomia, colpevolmente abbandonati dalla Sinistra e dal cattolicesimo popolare cui pure appartenevano, basti ricordare il “liberare e federare” di Silvio Trentin. Credo che Miglio e Bossi abbiano meriti assai maggiori dei Serenissimi, la cui carica di idealità va sicuramente riconosciuta ma che con il loro gesto fuori dall’orizzonte della Storia hanno fatto più male che bene alla causa venetista, autocriminalizzandola e finendo per buttarla in parodia e in macchietta». (1 - continua)
Il «serenissimo» Fausto Faccia Non sono pentito, risvegliammo le coscienze. Oggi più che allora servirebbe un movimento veneto forte ma il passato è passato e non torna più