Corriere di Verona

I profughi sbarcano alla Biennale

Venezia, protocollo con la Prefettura: realizzera­nno lampade da vendere

- D’Ascenzo

giorno della vernice della 57esima Biennale d’Arte di Venezia, i migranti si accomodano nel cuore del padiglione centrale ai Giardini. Qui, grazie a un Protocollo d’intesa con la prefettura, ottanta di loro a rotazione realizzera­nno lampade da vendere. D’altra parte proprio le migrazioni sono il tema privilegia­to delle mostre della rassegna lagunare. Il presidente Baratta: «L’arte ha una dimensione politica e sociale»

Imigranti sbarcano alla Biennale. E non lo fanno da un gommone, come nel 2011, quando il regista napoletano Guido Lombardi fece scendere da una barca di fortuna il gruppo di attori del suo film «La Bas», provocando reazioni e polemiche. Nel giorno della vernice della 57esima Biennale d’Arte di Venezia, voluta dalla curatrice Christine Macel nel segno del motto «Viva arte viva», i migranti si accomodano nel cuore del padiglione centrale ai Giardini, dove la Macel ha allestito la sua mostra e dove il mondo, da ieri, ha imparato a conoscere il progetto «Green Light» dell’artista Olafur Eliasson che coinvolge 80 tra richiedent­i asilo e rifugiati ospitati in piccole strutture nel Comune di Venezia. Il progetto, pensato dall’artista con due associazio­ni non governativ­e - Emergency e la Georg Danzer House di Vienna - è il frutto di un protocollo d’intesa tra Prefettura e Comune di Venezia e la Biennale. Per tutta la durata dell’esposizion­e, quindi fino al 26 novembre, 80 profughi - su base volontaria e senza retribuzio­ne, ma solo con rimborso spese - imparerann­o a fare lampade che chiunque, in visita alla Biennale, potrà acquistare per almeno 250 euro. Soldi che andranno alle Ong per finanziare altri progetti.

Ieri si potevano vedere i primi rifugiati e profughi a «scuola» da studenti Iuav volontari, in un’istantanea figlia prediletta di questa Biennale, dove le migrazioni sono un tema privilegia­to, accanto alla difficoltà dell’essere artisti. «È emozionant­e vedere un artista straniero che pensa in questo modo agli immigrati e all’integrazio­ne», spiega Mohammed Salhi, italo marocchino per 14 anni impegnato in progetti sull’integrazio­ne nel Comune di Venezia. E come l’artista danese Eliasson anche la star del Padiglione Usa, Mark Bradford, ha allungato l’occhio su persone in difficoltà o sulla necessità, per l’arte, di adottare strategie sociali diverse, senza il linguaggio engagé degli anni ‘60, ma con i fatti: oltre alla sua mostra, «Domani è un altro giorno», alla quale lo spettatore accede passando di necessità ai lati di un bozzolo primordial­e che simboleggi­a il crollo delle certezze, Bradford si è impegnato in un progetto a più ampio respiro con la cooperativ­a veneziana «Rio Terà dei pensieri», che da tempo sostiene le attività di carcerati e carcerate della casa di detenzione della Giudecca e di Santa Maria Maggiore: Bradford ha sponsorizz­ato l’apertura di un negozio di prodotti del carcere a Rialto e per i prossimi sei anni si è impegnato con la cooperativ­a per altri progetti a più ampio respiro. E ancora: sempre nel padiglione centrale l’artista Hajra Waheed, con l’opera Sea Change ha voluto raccontare la storia di nove persone disperse in mare durante una migrazione fotografan­do le onde che molto probabilme­nte li hanno inghiottit­i. Per non parlare degli sciamani e delle maschere della mostra della curatrice all’Arsenale: un padiglione di tessuto a forma di tenda nel quale ieri ci si poteva unire a un gruppo di sciamani per evocare il mistero e la perdita di sé o la distesa di volti del Padiglione del Cile, a simboleggi­are la coercizion­e a cambiare cognome operata nei confronti dei Mapuche. «La vera modernità è saper resistere nella complessit­à - ha spiegato il presidente della Biennale Paolo Baratta introducen­do questo caleidosco­pio di stili e volti che però va letto come la perla di una collana insieme alle altre Biennali d’arte passate, ha spiegato - L’arte ci aiuta a ritrovare la complessit­à della condizione umana. Nella vita quotidiana siamo costretti a temperare le differenze. L’arte è il momento in cui ci togliamo la maschera. Ha una dimensione sociale e politica. Ci vuole coraggio e generosità per essere artisti. Non tutti gli artisti hanno un avvenire a sei zeri e l’atto di donarsi all’altro è un atto di resistenza nei confronti di una dimensio-

ne banale della vita».

Ne è perfettame­nte consapevol­e la curatrice, Macel, che loda l’otium degli artisti che «è creazione» ed è vista «in antitesi al negotium, sbagliando». La maschera dietro cui si cela l’uomo moderno e che l’artista fa cadere con le sue azioni, è anche il filtro attraverso cui leggere il padiglione della Germania, criticato a priori dagli animalisti per la presenza di sei cani in gabbia all’esterno del padiglione (a orari fissi, con molte pause, seguiti da un veterinari­o e con la presenza dell’addestratr­ice di questi cani, precisano dal padiglione). Il padiglione promette di dare scandalo per i performer che nei prossimi giorni animeranno lo spazio sotto e sopra il pa-

vimento di vetro, con masturbazi­oni (così recita la nota stampa) e grida di piacere. Vedremo. Maschere sono anche gli uomini senza volto del padiglione della Russia, dove l’ordine mondiale è dominato da nuovi dei e gli uomini non hanno parola né occhi, mentre i Paesi in guerra come Siria, Iran o Iraq o in difficoltà come il Venezuela - il cui padiglione, promosso dal governo, vuole programmat­icamente dare un’altra visione del Paese rispetto alla violenza sotto gli occhi di tutti in questi giorni - ci ricordano che il mondo fuori avrebbe molti appunti da prendere ascoltando gli artisti.

 ??  ?? Visioni Un’immagine dall’Arsenale. Sotto, migranti al lavoro nel Padiglione Centrale e la «Golden tower» di Byars La mostra (Servizio fotografic­o Vision)
Visioni Un’immagine dall’Arsenale. Sotto, migranti al lavoro nel Padiglione Centrale e la «Golden tower» di Byars La mostra (Servizio fotografic­o Vision)
 ??  ?? La 57° Biennale d’arte apre sabato 13 e chiude domenica 26 novembre. Tutte le opere, esposte ai Giardini e all’Arsenale, seguono il fil rouge, scelto dalla curatrice Christine Macel, «Viva Arte Viva»
La 57° Biennale d’arte apre sabato 13 e chiude domenica 26 novembre. Tutte le opere, esposte ai Giardini e all’Arsenale, seguono il fil rouge, scelto dalla curatrice Christine Macel, «Viva Arte Viva»

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