Il Casinò come l’Alitalia tra stipendi da nababbi e crisi del gioco d’azzardo Ora i lavoratori rischiano
Il Comune di Venezia minaccia di chiudere la sede storica e licenziare 150 persone. I sindacati: sciopero a oltranza
Una gallina. Dalle uova d’oro, quando nel 2006 incassava 214 milioni di euro e ne versava più di cento nelle casse del Comune di Venezia. «Ora non le fa più d’oro, magari sono di bronzo, ma non per questo bisogna ammazzarla o spennarla un po’ alla volta!», afferma un sindacalista. La crisi del Casinò di Venezia vive oggi il suo momento più drammatico, addirittura con lo spettro di chiudere la sede storica di Ca’ Vendramin Calergi sul Canal Grande dall’1 gennaio 2018 e di licenziare 150 lavoratori. Sarà anche un «piano B», se non si riuscirà a trovare l’equilibrio economico nei conti della casa da gioco, ma da lunedì è scritto nero su bianco su una delibera approvata dalla giunta di Luigi Brugnaro e firmata dall’assessore alle Aziende partecipate, Michele Zuin, che ha condotto le trattative in prima persona e che di conti se ne intende, visto che di lavoro fa il commercialista. La delibera andrà in consiglio comunale per il voto il 18 maggio: ci sono ancora otto giorni per trattare, prima di rischiare che la casa da gioco diventi una sorta di Alitalia in salsa lagunare, con la tragica rottura tra proprietà (che è al 100% di Ca’ Farsetti) e dipendenti. «Ma quello che stiamo facendo è proprio evitare che il Casinò fallisca ed è per questo che non si può tornare indietro», spiega Zuin.
L’onda lunga della crisi parte appunto dagli anni d’oro, ormai un decennio fa. C’erano enormi spese per ospitare i grandi giocatori nelle due sedi – oltre a Ca’ Vendramin c’è quella di Ca’ Noghera, nell’ex discoteca Ranch – e soprattutto un costo del lavoro che non aveva eguali in nessuna partecipata, con una media di stipendi lorda superiore ai 100 mila euro per gli oltre seicento dipendenti. Ma da allora nessuno è mai riuscito a mettere mano in maniera decisiva ai costi, tanto più che nei frattempo la crisi mondiale del gioco d’azzardo e la crisi economica martoriavano i ricavi: dai 214 milioni del 2006 si è passati ai 168 del 2010, fino al baratro dei 100 nel 2015 e a una leggera risalita a 102 l’anno scorso (che si è però concluso con un rosso di oltre due milioni e mezzo). E se anche è vero – come ricordano i sindacati – che i dipendenti dal 2010 a oggi sono passati da 614 a 535 e che, a causa del calo di incassi e mance (voce che negli anni d’oro consentiva quasi di raddoppiare il già lauto stipendio), c’è chi ha perso in busta paga tra il 25 e il 40%, ora siamo di nuovo all’anno zero. E la tensione supera quella che, a partire dal 2011, vide Comune e lavoratori battagliare sul progetto dell’allora sindaco Giorgio Orsoni di «privatizzare» (o meglio di affidare in subconcessione la gestione) la casa da gioco.
Con Brugnaro e Zuin i rapporti sono tornati roventi. Un anno fa il Comune aveva già messo una prima pezza sui conti, con 1,8 milioni di euro. A febbraio il Comune ha presentato un piano industriale che punta sul rilancio e sugli investimenti, in particolare sulla sede di terraferma, aperta nel 1999 e da almeno un decennio «provvisoria» in vista di una fantomatica nuova struttura che gareggi con i casinò sloveni. Nella delibera si parla di un nuovo investimento da parte di Ca’ Farsetti per un totale di 7 milioni di euro: 2 milioni e 750 mila euro per azzerare le perdite dello scorso anno, gli altri 4 milioni e 250 mila, appunto, per il restyling di Ca’ Noghera, che nel sistema «bipolare» del Casinò ha già l’80% degli incassi.
Perché questo piano stia in piedi – e qui si arriva all’oggetto del contendere – secondo il Comune serve una forte sforbiciata non solo al costo del lavoro, ma a tutti quei lacci e lacciuoli che derivano dal passato e che renderebbero impossibile una gestione manageriale. Ecco che quindi da marzo le controparti si sono sedute al tavolo per trattare il piano comunale, che prevede l’azzeramento del contratto aziendale (e con esso anche il fatto che ogni decisione debba essere concordata con i sindacati), più flessibilità e meritocrazia e un taglio alle spese di 5,8 milioni di euro, frutto di un nuovo sistema di premi. Proposta a cui i sindacati hanno replicato con un piano che prevede invece 2,8 milioni di risparmi, con un taglio limitato agli stipendi, più flessibilità e un aumento dell’orario di lavoro di 2 o 3 ore, a seconda delle figure.
Lunedì sera l’assemblea con trecento lavoratori, molto preoccupati per il futuro, ha detto chiaramente ai delegati che oltre quella cifra non si va. Se il Comune andrà avanti sono pronti allo sciopero a oltranza e a fare causa al giudice del lavoro. Dicono che non ci stanno a pagare per l’ennesima volta gli errori dei manager e chiedono una modifica della convenzione tra Comune e Casinò che preveda che il primo incameri una quota degli utili, non degli incassi, così da evitare ogni anno di trovarsi in questa situazione. C’è voglia di trattare, ma Zuin replica gelido: «Allargo le braccia e tengo sempre le porte aperte - taglia corto - ma noi andiamo avanti per la nostra strada. O si fa così o il Casinò va in liquidazione». E rischia di essere la fine di una storia iniziata, come dice lo slogan, «since 1638».