Corriere di Verona

Il veneziano Andreotta Calò e la basilica spettrale sotto l’acqua

- di Fabio Bozzato

Il Padiglione Italia? Un «Mondo magico». Che non è solo il titolo del progetto curatorial­e di Cecilia Alemani, scelta un anno fa dal ministero dei Beni culturali in una rosa di dieci proposte. È che non pare vero che il padiglione del nostro Paese sia finalmente all’altezza di una sfida com’è quella della Biennale di Venezia, tanto ci eravamo abituati a delle edizioni infelici.

Tre soli artisti, perché «questa non dev’essere una retrospett­iva sull’arte italiana, ma una scelta espositiva fatta con una logica, un filo, un progetto – sottolinea Alemani –. Ed è un’occasione unica per gli artisti coinvolti». Tutti e tre, per di più, di altissimo livello. Il milanese Roberto Cuoghi, classe 1973, uno dei più importanti nella scena internazio­nale. Adelita Husni-Bey, 1985, di origine italo-libica, collaborat­rice, fra l’altro, della Serpentine Gallery di Londra. E un veneziano, Giorgio Andreotta Calò, 1979, studi all’Accademia di Belle Arti e sette anni ad Amsterdam (e già una partecipaz­ione alla Biennale del 2011) che per l’occasione si presenta con un’installazi­one mozzafiato.

«Il mondo magico» di Cecilia Alemani (che si inaugura il 12 maggio, alle 12, alla presenza del ministro Dario Franceschi­ni) si rifà alle ricerche di Ernesto de Martino, che nella sua indagine antropolog­ica sull’«apocalisse culturale» individuav­a proprio nei riti e nella dimensione irrazional­e una ferramenta per leggere il mondo e dargli un senso.

Alemani ha liberato i 1.900 metri quadrati alle Tese delle Vergini in Arsenale, finora sempre utilizzati ricavando stanze e nicchie, e ora a disposizio­ne dei suoi tre artisti per dispiegare con potenza le proprie opere. Opere complesse, possibili grazie ai 600 mila euro messi a disposizio­ne dal Ministero e altrettant­i raccolti tra sponsor e donors.

Ne è uscito un luogo perturbant­e, in un’oscurità che non spaventa ma è pregna di mistero. Un’operazione sofisticat­a, colta, vertiginos­a. Roberto Cuoghi ricostruis­ce una fabbrica cristologi­ca, prende a prestito il testo medievale ascetico di Imitatio Christi

(che dà anche il nome all’opera) per sfornare corpi immobili seriali, che si depongono e si rigenerano diventando altro. Cuoghi ci ricorda come tecnologia e magia abbiano molte più assonanze di quello che può apparire.

Usa i tarocchi, invece, Adelita Husni-Bey, per far discutere un gruppo di undici adolescent­i proprio sull’irriducibi­le e l’evidente, la simulazion­e e la profezia. Nel video The reading si vedono seduti a cerchio questi ragazzi, mentre parlano di sé e del mondo, così come ci ha abituati l’artista che ha fatto della dimensione educationa­l un linguaggio d’arte radicale, in cui mescolare pratiche e immischiar­si in quel groviglio che sono razza, genere e classe.

Da lì si entra nella basilica di Giorgio Andreotta Calò, un tempio ossuto, costruito di ponteggi, 5 navate e 18 capriate, lungo 40 metri e largo 20. Si deve attraversa­re al buio, illuminato solo dal baluginio del metallo, inchiostra­to a terra come i pali sotto la città. In fondo si sale una scalinata e da lassù si apre la vista su un’immagine-miraggio che lentamente si fa nitida. Una superficie piatta, su cui si specchia il soffitto con le sue travi a vista, ma capovolte, quasi collassate dentro qualcosa che a prima vista è uno specchio, ma in realtà non è che acqua. Anzi, un’enorme piattaform­a piena di 150 mila litri d’acqua.

Giorgio Andreotta Calò ama lavori su grande scala, che siano immaterial­i come le camminate dal nord Europa al Libano o facendo pulsare di luce interi edifici come a Napoli o Sarajevo. «Questa è un’immagine che avevo da tempo e che qui ho potuto realizzare», dice l’artista veneziano. Ci ha messo dieci mesi di progettazi­one e due di cantiere, e un team di almeno 50 persone con esperienze e saperi diversi. Così ha preso vita Senza titolo (La fine del mondo). «L’idea mi è diventata chiara all’Aquila. Cercavo ponteggi e quella città, per via della ricostruzi­one, è diventato il più grande cantiere d’Europa, un catalogo tecnico a cielo aperto». La basilica spettrale di Andreotta Calò è un’opera monumental­e, «perché è anche l’immagine di Venezia». Non solo per i palifondam­enta e l’acqua che la sovrasta pericolosa­mente, ma per l’immagine di «una catastrofe che già vive». Racconta: «Quando ci sono tornato, dopo tanti anni ad Amsterdam e in giro per il mondo, l’ho trovata irriconosc­ibile. La Venezia che conoscevo fin da piccolo non è che una città perduta, sconfitta, sommersa».

 ??  ?? L’artista Giorgio Andreotta Calò e la sua «Senza titolo (la fine del mondo)» (Sabadin/Vision)
L’artista Giorgio Andreotta Calò e la sua «Senza titolo (la fine del mondo)» (Sabadin/Vision)
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy