L’arte senza frontiere del magnate russo
Apre il palazzo restaurato da Leonid Mikhelson. Anni ‘20 e contemporanei
Si dice che un tempo sia stato lo scenario di un omicidio: un giorno qui un dipendente avrebbe ucciso il suo datore di lavoro. Lotta di classe o follia, a Palazzo delle Zattere la storia si riverbera nella mostra con cui la V-A-C Foundation lo ha riaperto. Perché i russi guidati dal magnate del gas Leonid Mikhelson hanno portato qui l’effervescenza rivoluzionaria dei sovietici anni ‘20 facendoli dialogare con artisti contemporanei. Un’operazione ambiziosa: l’Autorità Portuale ha lasciato alla Fondazione russa il palazzetto di metà ‘800 che si affaccia sulle Zattere, per un periodo di 18 anni (più 18), con l’impegno di restaurarlo e destinarlo all’arte. Nel giro di un anno di cantiere, l’architetto Alessandro Pedron lo ha trasformato in un ambiente raffinato fino a renderlo quasi irriconoscibile tanto era malridotto. Ha riaperto e ridisegnato gli spazi, ricucito i quattro piani con una scala che è un segno di design contemporaneo, recuperati affreschi, ritrovato un giardino dove sarà in funzione una caffetteria. Leonid Mikhelson da parte sua ci ha portato una parte della propria collezione e, assieme alla direttrice Teresa Iarocci Mavica, ha immaginato uno spazio aperto e poroso con la città, «oltre le frontiere e i nazionalismi, capace di parlare alle nuove generazioni di artisti, un luogo in cui siano liberi e motivati e si sentano parte della discussione».
La mostra, che si aprirà sabato al pubblico e resterà visitabile fino al 25 agosto (ingresso libero, chiuso il mercoledì), è il banco di prova di questo nuovo spazio culturale che si apre in laguna. La regia di «Space Force Construction» è firmata da Katerina Chuchalina della V-A-C e da Matthew Witkovsky della Collezione Richard and Ellen Sandor. Peter Taub ha confezionato poi un programma di performance che si sta svolgendo in questi giorni e che ha la stessa impronta dell’esposizione. Sarà sorprendente vedere ad esempio una performer come Tania Bruguera, famosa dissidente cubana, esibirsi delicata e caustica nella «Lenin Room» (domani, dalle 16 alle 18).
Un corpo poderoso di oltre 100 lavori degli anni ‘20 e ‘30 ci spinge dentro l’entusiasmo che contagiò il mondo artistico nel tumulto della rivoluzione bolscevica, prima che si trasformasse in una maschera deformata e paurosa. Designer costruttivisti, grafici futuristi, fotografi irriverenti e folli riempiono le sale della V-A-C e conversano con disinvoltura con commissioni site-specific rivolte ad artisti contemporanei. Così li troviamo in un gioco di assonanze e dissonanze attorno al tema della memoria a fianco di una grande immagine fotografica di Wolfgang Tillmans o un’architettura multimediale di Kirill Savchenkov.
Capita persino di trovare realizzati per la prima volta alcuni progetti visionari di arredamento, come il famoso lettotavolo, pensati all’epoca per un proletariato protagonista, cool e disinvolto. Agli studenti di Disegno Industriale dello Iuav, Christian Nyampeta farà ad esempio reinterpretare un progetto del Circolo dei lavoratori di Alexander Rodchenko. Dunque, cos’è la VA-C? Per il magnate russo, che è anche nel Council della Tate «la V-A-C non è semplicemente un luogo di business di mostre. Potrei dire che l’arte non è in questo senso un investimento – confessa - A me semplicemente piace il mondo dell’arte, mi piace farne parte. Per questo il raggio d’azione è molto più ampio, dal sostegno ai giovani artisti alle attività editoriali».
Il progetto La V-A-C non è semplicemente un luogo di business