Le colline dell’eccellenza Il Cartizze e le «Rive»
In molti pensano al paradiso quando vedono l’area del Cartizze. Sono 107 gli ettari dai quali salgono verso il cielo un milione e mezzo di bottiglie. È la quintessenza delle bollicine, il cru del Prosecco, la collina dalla quale guardare l’intero mondo del vino con una sensazione di quiete e di superiorità. Da qui si può partire per un viaggio dentro la purezza dell’eccellenza nata dopo la riforma del disciplinare del 2009, quella che ha permesso di scrivere in etichetta le «Rive», ossia i terreni scoscesi più amati dal sole e dalla Glera: il Prosecco è superiore anche grazie a queste terre, che donano poco meno di due milioni di bottiglie al mondo ogni anno grazie a 251 ettari.
Partiamo col nostro viaggio dal Cartizze. Sono tre le ipotesi sull’origine del suo nome. Quella più popolare lo fa risalire all’espressione locale «gardiz» o «gardizze», che indica i graticci usati per l’appassimento delle uve. Invece quella sostenuta dal valdobbiadenese Bruno Brunoro, studioso di storia locale, fa derivare il nome da «cardus», il cardo, fiore spinoso un tempo molto diffuso sugli sterrati e sui terreni poveri e marnosi come quelli che caratterizzano la collina di Cartizze. Infine, quella più aulica è dello storico trevigiano Giovanni Tozzato che, prendendo spunto dal primo documento pervenuto con l’indicazione del toponimo «Caurige» del 1362, fa derivare Cartizze da carro o strada per il transito dei carriaggi.
Quale sia la sua origine, il Cartizze è un fazzoletto di terra suddiviso tra oltre un centinaio di produttori dal 1969. È sufficiente una mezza giornata per visitare questo grande vigneto, che si adagia sulla collina punteggiata da frassini, roveri e olivi tra San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, nel comune di Valdobbiadene. Le radici della vite affondano in un terreno originatosi dal sollevamento di fondali marini, caratterizzato dalla presenza di morene, arenarie e argille che consentono un drenaggio veloce delle piogge e al contempo, una costante riserva di acqua. Il suo segreto è racchiuso nell’alternarsi di piccole valli e colline, che danno vita a un microclima favorevole, con una temperatura media annua di 12,5 gradi e una escursione media annua di circa 20-21 gradi. Il disciplinare è rigido. «Occorre che il vino spumante sia prodotto dalle varietà ammesse», spiegano dal Consorzio. «Ovvero: Glera (per un minimo dell’85 per cento) assieme a varietà tradizionali quali Verdiso, Perera e Bianchetta Trevigiana. La vinificazione, inoltre, deve avvenire solo all’interno del comune di Valdobbiadene; la spumantizzazione e l’imbottigliamento possono essere eseguiti invece solo nelle cantine della provincia di Treviso».
Ma l’ultima rivoluzione in tema di eccellenza è il concetto di Rive. Questo termine non evoca però solo l’immagine di versanti ripidi e appezzamenti ricamati, ma anche un vino che esprime l’essenza del territorio. Il Rive è il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, ottenuto da vigne in forte pendenza e alta collina, che provengono da un’unica sottozona. Rive è la rappresentazione più vera del territorio, in grado di valorizzare la vocazione di ogni singola area e di esprimere le peculiarità di suolo, esposizione e microclima. «Per fregiarsi della menzione le uve devono provenire da un’unica località, che viene riportata in etichetta, e la produzione non deve essere superiore ai 130 quintali per ettaro invece di 135», spiegano dal Consorzio. «La vendemmia deve essere esclusivamente fatta a mano e deve essere sempre riportato l’anno di produzione. Per questo, il Rive è il fiore all’occhiello del Conegliano Valdobbiadene. Una delle migliori espressioni del connubio fra territorio, ambiente, vigna e lavoro dell’uomo».
A Valdobbiadene
Le origini del nome e un rigido disciplinare per il fiore all’occhiello di tutta la Docg