Mostra dedicata a Palmira «No distruzione, ma poesia»
Shafik, artista egiziano, espone le sue opere a Palazzo della Ragione
«Ricerco il recupero simbolico dei luoghi archeologici, che sono la memoria dell’uomo, l’essenza della civiltà. Vorrei ricostruire metaforicamente Palmira, Palmira può essere ovunque, proprio perché per me simboleggia il recupero della civiltà, l’onda lunga del nostro essere umani e nel contempo la sua distruzione. Palmira è di tutti noi, anzi, Palmira siamo noi e non deve essere distrutta».
È questo l’accorato messaggio che Medhat Shafik, artista di origini egiziane, ma da quarant’anni residente in Italia, lancia attraverso l’installazione che sarà allestita a Palazzo della Ragione (dal 5 giugno fino a ottobre) e attraverso le opere che compongono la mostra «Palmira», da sabato alla galleria Marcorossi Artecontemporanea, nella sede di Verona (via Garibaldi, fino al 24 giugno) e in quella milanese di corso Venezia.
La Palmira di Shafik non è descritta, ma piuttosto evocata, con quella particolare sensibilità per i toni e per la ricerca sui materiali - legni recuperati, pigmenti naturali, sabbie, gessi, fili di lana, garze che creano trasparenze e stratificazioni allusive - che conosciamo di questo artista. Shafik fu ospitato per una mostra personale («Le città invisibili») nel 2007 alla Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, quando si trovava ancora nel palazzo omonimo, e una sua opera fece parte de «Il settimo splendore» (a cura di Giorgio Cortenova) per l’inaugurazione di Palazzo della Ragione nello stesso anno.
Le opere del ciclo Palmira, realizzate in Sicilia appositamente per questa mostra dislocata tra Milano e Verona (a cura di Pietro Marani), non sono una rappresentazione degli eventi drammatici che hanno visto la distruzione di gran parte del patrimonio archeologico della città siriana chiamata «la sposa del deserto», ma una sua pura ricostruzione poetica. L’installazione a Palazzo della Ragione, nell’ambito dell’iniziativa Prima pAReTe a cura di Patrizia Nuzzo, sarà composta da un grande dittico e da possenti legni antichi. Legni che ritornano nel suo lavoro, come nell’opera «La bottega dell’Armeno» esposta in occasione della rassegna «Nel mezzo del mezzo» ideata nel 2015 da Christine Macel, attuale curatrice della Biennale veneziana appena inaugurata.