L’INQUINAMENTO E LA VIA POSSIBILE
La decisione di Donald Trump di ritirare l’adesione degli USA agli accordi di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici è stata accolta con malcelata irritazione dai 148 paesi che hanno già ratificato il patto. Ma, soprattutto, ha scatenato una violenta reazione negli Stati Uniti. Più di 30 sindaci, da Bill de Blasio di New York a Eric Garcietti di Los Angeles, tre stati federali, con alla testa la California di Jerry Brown, e almeno cento presidenti di grandi gruppi imprenditoriali hanno preparato un patto che sottoporranno alle Nazioni Unite per ribadire il loro impegno a raggiungere, nonostante Trump, gli obiettivi USA nella riduzione dei gas serra per il contenimento del riscaldamento globale. Parole, preoccupanti, quelle di Trump, fatti, incoraggianti, quelli della società e dell’economia americana. Non altrettanto si può dire dell’Europa (e dell’Italia) dove alle belle parole non stanno seguendo altrettanti fatti. Il clamore del caso «Trump versus accordi di Parigi» ha fatto passare in secondo piano la notizia, data dall’ Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), che la CO2 prodotta nel 2015 in Europa non solo non è diminuita, ma è addirittura aumentata dello 0.5%, per la prima volta dal 2010. L’aumento è riconducibile a maggior CO2 prodotta dal riscaldamento domestico, ma, soprattutto, dal trasporto, che reitera un aumento di gas serra già mostrato nel 2014. Spagna, Italia ed Olanda sono gli stati maggiormente responsabili del fenomeno. Nel trasporto, sia merci sia passeggeri, spiega sempre l’EEA, la maggior efficienza nell’uso dei carburanti non è stata sufficiente a compensare la maggior domanda di trasporto. Solo che in Spagna ed in Olanda la maggior domanda di trasporto è dipesa da un aumento del PIL; cosa che non si può dire per l’Italia. In Italia, a sostanziale parità di PIL, persone e merci hanno percorso un «inutile» maggior numero di chilometri. Nel caso del trasporto merci la ragione è evidente. Negli ultimi 30 anni la geografia della popolazione e della produzione italiana (soprattutto manifatturiera e sempre più rivolta via mare ai mercati extraeuropei ) è profondamente mutata e si è avvicinata più ai porti adriatici che a quelli tirrenici: Ravenna e Venezia sono oggi i due porti più vicini al complesso della manifattura italiana. Altrettanto, se non di più, si può dire della popolazione e della manifattura europea, che è, oggi, più vicina ai porti del Mediterraneo che a quelli del mar del Nord; anche qui in modo tale da rendere il porto di Venezia di gran lunga il più vicino alla manifattura europea.
Nel contempo però la capacità relativa dei porti italiani non è invece per nulla cambiata, tanto meno la geografia delle reti stradali e ferroviarie –obsolete—che nei porti hanno il loro contatto con il mondo-- che non aiutano a seguire i «percorsi minimi». Anzi, di fronte al mutare della geografia dei traffici, entrambe le portualità storiche, europea ed italiana, hanno reagito sfruttando economie di scala che compensassero, almeno in parte, i maggiori costi di trasporto imposti dall’allungarsi «inutile» delle distanze via mare e via terra. Politiche infrastrutturali distratte, o conniventi, hanno favorito queste inefficienze con le conseguenze suddette in termini di CO2 e riscaldamento globale.
Per fare un esempio: se solo il porto di Venezia venisse messo in grado (adeguamento dell’accessibilità nautica) di trattare i container diretti al solo Veneto oggi «costretti» a passare per Genova, La Spezia o Trieste e Koper, si risparmierebbero dalle 10.000 alle 30.000 tonnellate di CO2 per milione di TEU, a seconda che da Venezia si procedesse poi via ferrovia o via strada. Vantaggi ai quali si aggiungerebbero quelli corrispondenti ai minori costi di trasporto e logistici addossati ai caricatori/ricevitori finali della merce. Con effetti di produttività che , a livello italiano, sono stati misurati in miliardi di euro annuo di PIL . Risultati facilmente conseguibili se crescesse la consapevolezza locale e regionale del fenomeno e si impostasse, finalmente, una politica attiva dei trasporti capace di favorire l’uso dei porti da percorso minimo, a parità di infrastrutture, e una politica infrastrutturale che, realizzando, integralmente e al più presto quella originariamente disegnata a Bruxelles con i «core corridors» delle reti TEN-T, modificasse le «capacità» (fondali, spazi e collegamenti) dei porti oltre che la geometria delle reti in modo coerente con l’avvicinamento ai percorsi in «linea d’aria».