Cosca Arena, spuntano nuove prove Il gip rimette in carcere il «fatturista»
Fermo bis per l’impresario di Lavagno. Ieri scena muta all’interrogatorio
Le mani della ‘ndrangheta sul Cara di Crotone, uno dei più grandi d’Europa, da almeno un decennio. Alle spalle una fitta rete di connivenze, dalla Calabria fino al Veronese.
E dietro, soprattutto, un vorticoso giro di denaro: su 103 milioni di euro di fondi Ue, che lo Stato ha girato dal 2006 al 2015 per la gestione del centro dei richiedenti asilo di Crotone, 36 sono finiti alla cosca degli Arena. Erano solo alcune delle coordinate dell’inchiesta con cui direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, a metà maggio, fermò 68 persone, molte appartenenti appunto al clan Arena. Tra loro, spiccava anche il nome di Domenico Mercurio, 47 anni, impresario edile di Lavagno difeso dall’avvocato Gianluca Vassanelli. Pesantissime le accuse che un mese fa gli costarono il carcere: associazione di stampo mafioso ed emissione di fatture false.In ballo, secondo l’accusa, c’era l’ultima frontiera del business, quello incentrato sulla gestione del centro migranti. Ma la permanenza a Montorio di Mercurio durò appena 4 giorni: tornò infatti libero su decisione del gip di Verona Livia Magri, che con 45 pagine di ordinanza decise di rigettare la richiesta di fermo scattata dall’Antimafia calabrese. A parere del magistrato scaligero, mancava proprio la prova «regina», ovvero i riscontri concreti dei presunti 300mila euro di fatturazioni fasulle attribuite dalla Dda del procuratore Nicola Gratteri all’impresario. Contro quest’ultimo e altri indagati nell’ambito dell’inchiesta, da allora, gli investigatori hanno tuttavia proseguito nel loro lavoro di indagine, trovando ulteriori indizi e prove a carico. Il che, nelle scorse ore, ha consentito al gip catanzarese di spiccare nuove ordinanze di fermo: tra i destinatari, torna il nome di Mercurio che quindi si trova ora nuovamente rinchiuso in cella a Montorio.
Ieri, davanti al gip Luciano Gorra che lo ha interrogato per rogatoria, ha fatto riferimento alle sue precedenti dichiarazioni, restando di fatto in silenzio. Per l’accusa, il complesso sistema progettato dalla cosca Arena per la distrazione di denaro pubblico godeva della collaborazione dei familiari degli indagati: parenti e conoscenti «fidati» che avrebbero collaborato attivamente al business mafioso sui migranti rendendosi «utili» in due modi, o con fittizie partecipazioni sociali ed emissione di falsi documenti contabili, oppure agendo da «fatturisti» come Mercurio. A lui, nel dettaglio, l’accusa imputa di aver «fornito prestazioni contabili artificiose in favore del gruppo economico in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di notevoli somme di denaro e di evadere le previste imposte fiscali». Ma contro l’impresario, sostiene la difesa, esisterebbe solo la deposizione del collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio. Né sussisterebbe il rischio di fuga: risiede nel Veronese da 18 anni e non ha mai manifestato l’intenzione di trasferirsi altrove. Per adesso, però, si trova di nuovo in carcere.