IL FALLIMENTO DELLE «CLASS ACTION»
Anni di cause contro treni, banche, vaccini e slot ma in Veneto nessun risultato. La resa delle associazioni dei consumatori: «Tutto inutile»
Dalle cause per «tentata strage» contro i ritardi dei treni, ai vaccini, alle slot alle banche e all’inquinamento. Sette anni di cause collettive in Veneto, e nessuna vittoria.
Il fine è sempre nobile. E’ il popolo che si ribella alla dittatura delle aziende (private o pubbliche) e usa lo strumento giuridico per far rispettare la libera concorrenza, o per veder riconosciuto il risarcimento per un sopruso collettivo. La class action è il termine spesso inappropriato che racchiude un concetto molto semplice: tanti contro uno. Articolo di riferimento è il 140 bis del codice del consumo, introdotto nel 2009. E dal 2010 in Veneto le cause collettive non si contano più: ci sono quelle contro le banche, contro i vaccini, contro le infermiere che non somministrano i vaccini, contro l’inquinamento dei Pfas, contro l’amianto, contro il ritardo dei treni, contro le case automobilistiche che taroccano i dati delle emissioni, contro il gioco d’azzardo. Ma tracciando una linea temporale ad oggi, 12 giugno, c’è da rilevare un fatto: nelle cause collettive, il collettivo non vince mai. E’ vero che non perde nemmeno, nel senso che talvolta le cause restano incagliate nei meandri dei tribunali ed è difficile dimostrare di aver ragione.
Le associazioni dei consumatori: «Non servono a nulla»
Il percorso, insomma, è in salita, e ora anche le associazioni dei consumatori, prime promotrici della cause collettive, sostengono che non servono a nulla. La prima a dirlo, in controtendenza rispetto ad altre che ancora ci credono, è l’Aduc, associazione dei consumatori che nel 2008 a Venezia, tanto per fare un esempio, aveva presentato un esposto contro le società che proponevano shopping card per risparmiare sugli acquisti di un centro commerciale inesistente. Ebbene ora l’Aduc dice che le class action sono inutili e non raggiungono (quasi) mai l’obiettivo che si propongono. «Si grida spesso alla class action solo perché è una moda, ma noi non le facciamo più – dice Emmanuela Bertucci, legale di Firenze e responsabile della associazione attiva anche in Veneto - mettere in piedi una causa collettiva e portare avanti le istanze è costoso: basti pensare che in caso di vittoria contro la pubblica amministrazione o contro un’azienda privata, l’associazione deve pubblicare una pagina di avviso di vittoria su tutti i giornali nazionali, in modo che tutti i consumatori possano riconoscersi tra i danneggiati, presentarsi all’associazione e veder riconosciuti i propri diritti davanti al giudice. Gli associati pagano una quota di iscrizione all’associazione dei consumatori, ma non basta a coprire le spese e non esiste nessuno che si immoli per il bene della comunità». Dopo l’exploit del 2010, anno in cui l’articolo 140 b è entrato pienamente in funzione e in cui molti avvocati veneti si erano specializzati in questo tipo di procedimenti, si assiste a una battuta d’arresto.
Dalle cause dei pendolari alle slot machine
Certo non tutte le class action sono uguali, anzi ci sono cause che comunemente vengono definite impropriamente collettive, ma che sono costituzione in parte civile nei processi veri e propri di una parte «ristretta» di consumatori che hanno subito un danno. Le «vere» class action (disciplinate dall’articolo 140 bis) sono quelle promosse dai consumatori contro un disservizio
E. Bertucci (Aduc) Un legale non può sostenere la spesa di una azione collettiva da solo, queste cause sono molto costose e non c’è più nessuno che si immola per i diritti dell’umanità. Ecco perché falliscono, noi non le facciamo più
o una violazione palese. Ergo può chiamarsi class action quella contro i ritardi dei treni promossa anni fa dall’avvocato Franco Conte di Venezia, che ipotizzava il reato di «tentata strage» per attirare l’attenzione sul danno psicologico provocato dai continui ritardi dei pendolari (ferma in un tribunale). Lo è quella promossa sempre da Conte, contro le slot machine che riducono in povertà centinaia di famiglie (ferma in tribunale), o quelle contro la Volkswagen, che taroccando i dati sulle emissioni ha reso milioni di persone complici del surriscaldamento del clima (anche questa ferma in tribunale). Non sono class action, ma costituzione in parte civile, le cause che raccolgono gli ex azionisti della Banca popolare di Vicenza o di Veneto Banca, gli ex dipendenti esposti all’amianto della Lanerossi di Schio e Piovene Rocchette o della Marzotto di Valdagno. Sono costituzione in parte civile quelle contro l’infermiera infedele che non ha somministrato il vaccino ai bambini di Treviso o Codroipo, o quelle e contro i Pfas, o l’inquinamento provocato dalla discarica di Torretta (Verona), e in genere tutte le cause ambientali. Insomma la class action porta avanti le istanze il consumatore in generale, la costituzione in parte civile invece rappresenta gli interessi comuni di una categoria, come, appunto, gli azionisti, i lavoratori, i bambini non vaccinati, i residenti di un territorio inquinato.
Due percorsi diversi e una legislazione «ostile»
Se nelle class action, come dice l’Aduc «non esiste più nessuno che si immola per il bene comune», anche nella costituzione a processo, come spiega l’avvocato trevigiano Sergio Calvetti, «antesignano» delle cause collettive, (Veneto Banca e vaccini, per fare un esempio) ci sono molte difficoltà: «La legislazione sulla class action può avviarla solo il consumatore, quanto agli azionisti delle banche non sono qualificati come consumatori ed in più hanno casi solo teoricamente omogenei, ma non del tutto, quindi un soggetto non può rappresentare una pluralità di diritti lesi» dice. Ecco che quasi sempre il consumatore rimane a secco. Eppure gli avvocati ci provano lo stesso e, al contrario di quello che si crede, non è nemmeno un business redditizio: l’avvocato Calvetti raccoglie le adesioni di centinaia di persone presentando una singola denuncia all’autorità giudiziaria, pratica che fanno in molti. «Questo permette la divisione dei costi per il numero di aderenti, la spesa per ciascuno è minima» dice Calvetti. Ci sono altri legali che invece non si fanno dare nulla e prendono soldi solo in caso di vittoria, ma fino ad ora nessuno ha mai vinto qualcosa. «I risultati arrivano se ci sono soggetti solvibili, in questo caso la giustizia ha consentito di ottenere risarcimenti» continua l’avvocato trevigiano.
Danni alla salute, tutti si indignano e nessuno paga
E per quanto riguarda l’ambiente? Giustizia è stata (quasi) fatta per alcuni lavoratori delle Officine Stanga (Padova) esposti all’amianto, che due anni fa hanno ottenuto un risarcimento: erano pochi, il giudice ha analizzato tutte le loro posizioni, salvo poi constatare che il proprietario era quasi nullatenente. Altre cause sull’amianto promosse dall’avvocato Eugenio Bortolotto di Vicenza, sono ferme al palo. Come pure quelle sui Pfas promosse dall’avvocato Giorgio Destro di Padova che commenta laconico: «L’opinione comune condanna l’inquinamento, poi è difficile che qualcuno firmi le deleghe – spiega – eppure le cause ambientali hanno un costo, bisogna far analizzare i terreni, l’acqua, e gli avvocati comuni da soli non se le possono permettere». Insomma nemmeno la carta della salute funziona. Troppo presto per fare un bilancio sulle banche venete, anche se un precedente simile lascia intendere che non sarà facile spuntarla: il caso Parmalat, per esempio. A fronte di un’azione di risarcimento collettiva ha vinto chi ha fatto per sé: un risparmiatore napoletano è stato risarcito nel 2015 con 510mila euro. Si era affidato a Confconsumatori, ma da solo. Per il giudice è stato più semplice stabilire l’entità del danno e attribuirgli un risarcimento adeguato. Molti altri stanno ancora attendendo giustizia.