Blue Whale, ecco i tweet sotto inchiesta
Studentessa indagata per istigazione al suicidio. Ma lei: volevo redimere i followers
«Che il gioco abbia subito inizio». Rischia di costare seri guai a una studentessa veronese di 19 anni la creazione di un profilo twitter dove si spacciava per «Whale-Challenge» ed esortava i followers a «contattarmi personalmente». È stata la polizia postale di Palermo a far partire le indagini e trasmettere gli atti d’urgenza a Venezia: da qui l’intera documentazione è stata girata alla procura di Verona dove, delegata a occuparsi del caso, risulta il pm Elisabetta Labate.
«Che il gioco abbia subito inizio». Rischia di costare seri guai a una studentessa veronese di 19 anni la creazione di un profilo twitter dove si spacciava per «Whale-Challenge» ed esortava i followers a «contattarmi personalmente».
È stata la polizia postale di Palermo a far partire le indagini e trasmettere gli atti d’urgenza a Venezia: da qui l’intera documentazione è stata girata alla procura di Verona dove, delegata a occuparsi del caso, risulta il pm Elisabetta Labate. Il nome della giovane veronese, che abita in provincia ed è difesa dall’avvocato Lorenzo Ferraresi, figura adesso sotto inchiesta per l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio.
Nei giorni scorsi le era stato sequestrato il telefonino: sotto sigilli è stato posto anche il computer portatile della ragazza. Su entrambi, ora, verrà eseguita dagli investigatori un’attenta analisi a caccia di eventuali prove valide a sostenere un’accusa tanto pesante.
Nel frattempo, però, la 19enne si proclama innocente: sostiene di non essere stata capita, dichiara che i suoi messaggi sono stati fraintesi. Anzi, interpretati esattamente al contrario. Fatto sta che, sul tavolo del magistrato, si trova al momento una serie di tweet datati metà maggio 2017 e ancora tutti da chiarire: «Non voglio ammazzarmi», scrive un utente. E un altro: «Se deciderai di toglierti la vita con questo gioco, che ne sarà dei tuoi genitori? Dei tuoi fratelli, sorelle se ne hai? Ragiona». Un altro, poi, domandava «Ma sei un vero curatore»? E un altro ancora: «No, aspetta, che cazzo c’entra la The Rainbow Challenge»? Otto, in particolare, i messaggi «incriminati» e su cui attualmente si stanno concentrando gli accertamenti degli investigatori. A far da comune denominatore a queste chat, stando a quanto finora appurato dagli esperti della polizia postale, sarebbe stato proprio l’utente «Whale-Challenge», ovvero la studentessa veronese di 19 anni. Di lei, nero su bianco, la polizia postale siciliana ha messo a verbale che «non se ne può escludere il coinvolgimento nel fenomeno del “Blue Whale” e si ritiene pertanto di dover verificare eventuali profili di responsabilità penale a suo carico».
Eppure lei, al momento dell’interrogatorio, ha fornito una versione del tutto opposta: del gioco Blue Whale, si è difesa, sarebbe venuta a conoscenza tramite Facebook e prima che il fenomeno venisse alla ribalta in tv grazie a «Le Iene». Dopo aver letto che, stando alle «50 regole da rispettare ogni giorno nel Blue Whale», il partecipante vinceva il gioco lanciandosi nel vuoto da un palazzo, la veronese ne avrebbe dapprima parlato con la madre e poi si sarebbe interessata a «The rainbow challenge», un gruppo a cui ha spiegato di essersi avvicinata in quanto «attirata dai suoi fini positivi». A quel punto, stando sempre al racconto della studentessa, avrebbe cominciato mediante le piattaforme Instagram e Twitter a chattare con i profili vicini al Blue Whale esclusivamente per redimerli, per farli desistere da un fenomeno tanto pericoloso non solo per sé ma anche per gli altri. In seguito, ha aggiunto di essersi allontanata anche da «The Rainbow Challenge» perché si era resa conto che alcuni utenti «prendevano per i fondelli». Ai magistrati, ora, individuare la verità?