Corriere di Verona

RAPHAEL DI CASA GUALAZZI IL VERONESE

Stasera il cantautore e pianista ospite della rassegna jazz. «Il nostro repertorio si ispira molto a questo genere, nel live ci saranno ampi spazi di improvvisa­zione Abito in città da un paio di anni e la adoro. Il sogno? L’Arena, ovviamente»

- Francesco Verni © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Da due anni abito a Verona, sono proprio contento di godermi la sua bellezza. È una città molto vivibile, piena di cultura e di teatri. Ha i servizi di una metropoli del Nord e il calore di una del Sud: è una cosa difficilis­sima da trovare». Questa sera Raphael Gualazzi non farà tanta strada per arrivare al teatro Romano dove, assieme alla band, è stato invitato a suonare al Verona Jazz (ore 21.30, info www.eventivero­na.it).

È appena stato ai Wind Music Awards in Arena. Quanto le piacerebbe tenerci un concerto tutto suo?

«Sarebbe un sogno. Ci vado spesso da spettatore, sia per la musica lirica, per il balletto o per i concerti pop, come quel live strepitoso di Charles Aznavour dell’anno scorso. Un simile contesto è magico, raramente un luogo riesce a coniugare una storia così importante a una capienza così ampia. Il nostro pubblico al momento è numericame­nte abbastanza modesto, si parla di qualche migliaio di persone, ma l’Arena rimane il sogno di tutti i musicisti, anche il mio... Intanto me la godo in platea».

Al Romano suonerà nel cartellone del Verona Jazz. Cambia qualcosa nella scelta Musicista

Di formazione jazz ma rivelatosi con le canzoni a Sanremo, Raphael Gualazzi stasera è al Romano della scaletta rispetto a festival più pop?

«Questa rassegna ci ha già invitato in diverse occasioni e siamo molto onorati di partecipar­vi. Il nostro repertorio tocca moltissime note della musica jazz, nel live ci sono spazi ampi di improvvisa­zione e c’è grande interplay tra i musicisti. Non dimentichi­amo poi che il personaggi­o principale del concerto è e rimane la musica».

È in rotazione radiofonic­a il brano «La fine del mon-

do», questa«È unlo sera? singolosi ascolteràc­on sonoritàan­che molto Seventies vicinee tanto a certe diverso atmosfere da altri che “Love sono life presenti peace”. nell’album Curo

personalme­ntedel concertogl­i arrangiame­ntied è stimolante l’uno che dall’altro:ci siano con branii musicisti diversi per ci mettersi divertiamo, sempreè un modoin gioco».

Il titolo del disco è la sua personale ricetta per vivere bene o che cosa rappresent­a?

«È qualcosa che è stato ispirato nel periodo in cui stavamo producendo l’album. Erano momenti molto tristi a causa degli eventi del Bataclan e quando mi hanno

chiesto di dare il titolo all’album mi è sembrato giusto

mettere l’accento su amore, vita e pace, tre temi che, sebbene semplici, sono necessari in questa epoca storica».

È molto amato all’estero, quanto cambia il pubblico e quanto influisce sulle sue performanc­e?

«È sempre bello creare un’interazion­e con il pubblico così che possa diventare parte integrante del concerto. Con la nostra umile esperienza abbiamo suonato sia per poche persone che per le 37mila dell’Eurovision Song Contest, come anche, in Francia, a festival con più di 10 mila paganti. Ogni live è uno stimolo diverso e un pubblico diverso. Ogni volta è una nuova scoperta che rimanda a nuova energia».

In chiusura una curiosità. Quali sono i musicisti che ha più ascoltato nella vita?

«Led Zeppelin, Django Reinhardt, Erroll Garner, Ray Charles e Stevie Wonder».

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