VERONA, EFFETTO REFERENDUM
Ascrivere la vittoria di Federico Sboarina all’onda nazionale del centrodestra spiega in maniera fuorviante quello che è accaduto a Verona e come la potrà cambiare. Perché non rende verità al risultato che ha ottenuto e che gli va riconosciuto. Per tre ordini di motivi. Il primo. Se dovessimo analizzare il dato elettorale sul territorio, tanto per cominciare in Veneto è accaduto esattamente il contrario. Da Padova a Belluno, da Abano all’ex grillina Mira, le bandiere che sventolano nei Comuni sono di centrosinistra, a volte tendente all’arancione. In riva all’Adige la storia è completamente diversa. Secondo motivo. Quello di domenica è stato un voto che codifica la fragilità dei partiti, che sgretola ogni roccaforte di poteri locali consolidati nella fisiologica alternanza. Alimentata oggi più che da spinte ideologiche, dalla volontà di cambiamento. Vince prima di tutto il progetto politico del neo sindaco, «Battiti», successivamente appoggiato da Lega, Fi e Fratelli d’Italia.
Non solo perché lo dimostrano i numeri alle urne, ma prima ancora lo ha reso evidente la conta delle persone in piazza nei comizi dei partiti a sostegno. Salvini incluso. Ha portato più acqua la gente del movimento di Sboarina. E questo conferisce al nuovo sindaco una legittimazione ma soprattutto una responsabilità maggiore. Perché ancora più alte sono le aspettative di cui si fa carico. E l’autonomia che dovrà dimostrare. La palla in campo è sua, non solo la faccia. Un candidato di partito probabilmente non avrebbe convinto una città, perché non ne avrebbe intercettato le trasversalità moderate. Terzo motivo, che origina dal precedente, con una specificità nettamente locale. Quello di domenica non era solo un voto per le amministrative, ma più potentemente un referendum pro o contro Tosi. Come a Padova era contro il «nemico» leghista Bitonci. Due «podestà» sconfitti pur se su fronti opposti. Con la differenza che nella città del Santo era la ribellione maturata contro l’imperatore «straniero». A Verona contro un sistema. Dieci anni di governo, ma anche di strappi, di carica ma anche di stanchezza, di strascichi politici e guerre originate dagli effetti delle inchieste hanno fatto passare in secondo piano le cose fatte e non fatte. La continuità è diventata un marchio. In testa, un Tosi due messo con le spalle al muro dal suo ex partito, che ha innescato la marcia nazionale, fronte oltre le mura che è stato punto di strategia e di visibilità, ma anche il suo tallone d’Achille. L’endorsement di Renzi si è rivelato alla fine un abbraccio mortale. Da un lato perché ha reso Tosi e la sua candidata agli occhi degli elettori un’espressione non di centrodestra in una città storicamente tale. Dall’altro perché ha fatto deflagrare un effetto boomerang, come ha dimostrato l’inesistente appoggio dell’elettorato dem. Che si è rifiutato di votare a favore di chi, per tutto il tempo precedente, era il soggetto politico avverso. Il risultato è un solco incolmabile tra il Flavio sindaco che per due volte ha stravinto al primo turno, e la faticosa campagna in salita del 2017. Chi votava per la sua compagna, la senatrice Patrizia Bisinella, non votava per lei o contro di lei, ma per ciò che rappresentava. Non uno schieramento, ma un uomo e un sistema in cui il resto della città, degli ex alleati della prima giunta di centrodestra, e i lacerati ex nemici democratici non si riconosceva. E in tale strettoia si allargava nel contempo il solco di Sboarina, percepito più «unitario» rispetto al profilo diventato più «divisivo» di Tosi. Ragionamento, quest’ultimo, che non cade a fronte di un ragionamento sull’astensionismo record. Dato che certo fa preoccupare. Anche in Francia la vittoria di Macron è espressione desolante di un elettore su cinque. Ma questo non ha certo impedito di segnare l’inizio di un nuovo ciclo politico. Qui si apre la fase più interessante, che è quella del futuro. Sboarina dovrà ancor di più agire per «conquistare» la fascia più ampia del sentire della città. E, soprattutto, rappacificarla. Di ritrovare cioè quella coesione sociale che una campagna di veleni ha intaccato ma non compromesso. Un sindaco che sia esploratore di nuovi orizzonti più che custode di vecchi confini può essere il federatore di un processo che ora ricomincia. Se avrà la visione e la forza per interpretarlo, non solo con i numeri, questa sarà la vera prova della storia. Dopo le urne.