A processo i 47 venetisti del Tanko
Brescia, a giudizio per «associazione sovversiva». Chiavegato: «Vergogna, viene voglia di scappare»
Volevano l’indipendenza del Veneto. E per ottenerla erano disposti anche ad azioni eclatanti, come quella di portare fino in piazza San Marco un escavatore «travestito» da carro armato. Dei sovversivi, insomma. Ma non certo dei terroristi.
Il gup di Brescia, Alessandra Sabatucci, ha rinviato a giudizio i 47 «nuovi Serenissimi» lombardo-veneti finiti nella maxi inchiesta culminata con il blitz condotto dai carabinieri del Ros nell’aprile del 2014. Finiranno tutti a processo - compresa la dozzina per la quale il pm Carlo Nocerino aveva chiesto l’archiviazione - ma con un’accusa diversa da quella che, tre anni fa, portò molti di loro in carcere: non più associazione «con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico», ma la meno grave «associazione sovversiva».
La decisione è arrivata ieri al termine di un’udienza-fiume, aggiornata cinque volte e ricca di colpi di scena. L’ultimo, il rigetto della richiesta di ricusazione del giudice che era stata avanzata dai legali di Flavio Contin, 75 anni di Casale di Scodosia, lo stesso che la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1997 entrò nella «Serenissima Armata» per dare l’assalto al campanile di Venezia. Una richiesta, quella di cambiare il gup, che ora gli costerà una sanzione di mille euro.
Ma a trent’anni di distanza dalla folle occupazione di piazza San Marco a bordo del «Tanko», Flavio Contin ha ancora voglia di battersi: «In questo processo farsa - sostiene - l’unico scopo dello Stato inquisitore è quello di cancellare e annientare lo spirito patriottico, il nostro orgoglio e la nostra identità storica. Noi Veneti siamo vittima di un sistema coercitivo diabolico e perverso».
I 47 imputati - solo il bresciano Michele Cattaneo ha chiesto il rito abbreviato - si ritroveranno in aula il 31 ottobre per l’inizio del processo. Ventisette i veneti, tra i quali spiccano nomi importanti della causa indipendentista, come quello di Franco Rocchetta, padre della Liga Veneta e sottosegretario agli Esteri nel primo Governo Berlusconi. Alla sbarra, oltre a Flavio Contin finirà anche un altro dei Serenissimi: Luigi Faccia, 63 anni.
Dovranno rispondere dell’accusa di aver costituito un gruppo (L’Alleanza) che aveva come obiettivo l’«indipendenza dei popoli», cominciando da quello lombardo-veneto per poi passare al sostegno della causa autonomista dei «fratelli sardi». Il tutto, facendosi scudo con il nuovo Tanko, costruito in un capannone del Padovano e dotato di un cannoncino da 12 millimetri che doveva sparare biglie d’acciaio ma che, alla prova di fuoco disposta della procura di Rovigo (che indaga per la detenzione di «arma da guerra») non è riuscito neppure a infrangere un vetro corazzato.
A tre anni dal blitz dei carabinieri, oggi molti degli imputati rivestono ruoli di primo piano all’interno dei movimenti che costituiscono la galassia venetista. Come l’ex leader dei Forconi veronesi Lucio Chiavegato, che ha fondato un proprio gruppo anti-italiano.
Ad attendere lui e gli altri imputati, fuori dal tribunale c’erano circa duecento manifestanti che per tutta la mattinata hanno sventolato bandiere di San Marco, intonando canzoni e motti indipendentisti. Del corteo faceva parte anche l’ex sindaco di Resana, Loris Mazzorato, che alla scorsa udienza si era presentato in mutande e ieri, invece, ha «sfilato» con una bara di cartone, approfittando dell’evento per raccogliere firme contro l’obbligo dei vaccini.
C’è chi ha protestato gridando «Aresteme anca mì» e chi portando a spasso la figlioletta di sei anni che reggeva un cartello con su scritto: «Mamma, perchè mi hai fatta nascere nel Paese più corrotto d’Europa?».
Mentre fuori dal palazzo di Giustizia echeggiavano gli slogan dei manifestanti, in aula montava la rabbia degli imputati, alcuni dei quali al rinvio a giudizio hanno risposto gridando: «Veneto libero!».
All’uscita, Contin ha preso in mano un megafono per avvertire i suoi: «Non ci fermeremo. Oggi lo Stato italiano ci fa ancora più schifo».
Tra gli imputati, c’è chi è apparso smarrito, come Giancarlo Orini, 78 anni, ritenuto il leader del gruppo bresciano: «Non so nemmeno io cosa ho fatto e lo sanno loro? Assurdo». E c’è chi annuncia battaglia, a cominciare dalla veronese Patrizia Badii: «Ben venga il processo, così porteremo la causa indipendentista davanti ai giudici dello Stato italiano».
A prevalere, però, è la rabbia. «Questa decisione è una vergogna - sbraita Lucio Chiavegato viene voglia di scappare in Uzbekistan».