Corriere di Verona

«Minacciata dal mio ex marito con una pistola»

- Di Enrico Presazzi

VERONA «Aveva detto a nostra figlia che mi voleva uccidere. Poi me lo sono trovata di fronte, con una pistola». In aula, il dramma di una madre vittima di stalking.

«Mia figlia mi aveva telefonato poco prima, dicendomi che l’aveva sentito al telefono. Era spaventata perché le aveva detto che di lì a poco sarebbe diventata orfana di madre e di padre».

In aula, ieri pomeriggio, ha raccontato tutto il suo personale calvario incalzata dalle domande del pm Giorgia Bonini. Senza mai incrociare lo sguardo con il padre delle sue due figlie, P.R. operaio di 45 anni residente nel Villafranc­hese finito in carcere a marzo con le pesanti accuse di stalking e maltrattam­enti in famiglia. Incapace di rassegnars­i al fatto che il loro matrimonio potesse essere arrivato alla fine, intolleran­te all’idea che lei potesse condivider­e la loro ex abitazione con un altro uomo. Dall’estate del 2016, lui era uscito di casa. Ma, come emerso ieri nel corso dell’udienza davanti al giudice Silvia Isidori, aveva sottoscrit­to un patto con l’ex moglie per poter continuare a utilizzare il deposito attrezzi situato nel giardino della bi-familiare.

«Ma di fatto un giorno sì e l’altro no, continuava a presentars­i e a offendermi – ha ricordato la donna nel corso della sua deposizion­e -, a novembre mi è entrato in casa e ha distrutto ogni cosa. Se l’era presa anche con l’auto del mio compagno, in un’occasione l’ho visto che forava gli pneumatici con la punta di un trapano. Dormivo in salotto per riuscire a sentire ogni rumore sospetto. E, con le mie due figlie e il mio compagno, avevamo iniziato a darci il cambio per fare i turni di notte e controllar­e». Lei, nell’autunno del 2016, l’aveva già denunciato ai carabinier­i per maltrattam­enti e lesioni: aveva raccontato di essere stata spintonata in due distinte occasioni da quell’uomo acciecato dalla gelosia (e ieri in udienza ha detto che lui «alzava le mani» anche quando lei era in stato di gravidanza).

Fino a quel pomeriggio di inizio marzo. «Mia figlia mi ha telefonato ed era molto preoccupat­a perché temeva che potesse venire ad ammazzarmi – ha spiegato la vittima -. Nel pomeriggio l’ho visto arrivare in auto davanti a casa. Sono scesa in giardino, lui è sceso dall’auto e mi ha avvicinato. Mi ha detto che doveva dirmi una cosa e, sulle prime, sembrava tranquillo. Quando eravamo vicini, ha tirato fuori un’arma e io sono morta di paura. L’altra mia figlia ha assistito alla scena e si è messa a urlare: così lui è scappato via e io mi sono sentita male». I carabinier­i lo avevano poi rintraccia­to alcune ore dopo nelle vicinanze della chiesa di Isola della Scala: nessuna pistola, ma un manganello retrattile nel baule dell’auto. Ed era scattato l’arresto. Il gip, pur non convalidan­do l’arresto, aveva comunque disposto la permanenze in carcere per l’operaio: «Misure meno afflittive presuppong­ono una personalit­à più tranquilli­zzante che l’arrestato, con il suo comportame­nto violento e incontroll­abile, ha dimostrato di non possedere». Giovedì, in aula, sarà l’uomo difeso da Michele Dorizzi, a poter raccontare la sua verità. Prima del verdetto del giudice.

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(archivio) «Notti insonni» La donna ha raccontato che non dormiva più per il timore di incursioni improvvise

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