Corriere di Verona

Lorenzoni, il prof borghese che ha affascinat­o la sinistra «È lui il nuovo paradigma?»

- Giovanni Viafora

PADOVA A godersi la vittoria in piazza, nell’ultimo rimasuglio della calda notte padovana, alla fine c’erano praticamen­te solo i «ragazzi» del professore: magliette arancioni, bicchieri in mano, bellaciao. È dato ormai acquisito in città: queste elezioni le ha vinte proprio lui, Arturo Lorenzoni (foto), 50 anni, docente di Economia dell’Energia all’Università di Padova. Suo il traino decisivo (22,84 % al primo turno), che ha consentito a Sergio Giordani di spodestare il leghista Massimo Bitonci da Palazzo Moroni. Lorenzoni, d’altronde, è già un caso. Chi è? Come ha fatto a calamitare attorno a sé un simile e largo consenso, che va dalla sinistra estrema all’associazio­nismo cattolico, fino pure all’alta borghesia cittadina? Il background dell’uomo risolve alcune di queste questioni; ma in realtà ne apre anche di nuove. Colto, europeo, poliglotta, il professore è stato per anni consulente per alcune delle più importanti istituzion­i e aziende nazionali, come Confindust­ria, Enel, Cariplo; ha fatto il delegato del Rettore per i rapporti con la Cina (oltre che essere socio fondatore dell’incubatore M31) ed è pure componente del comitato scientific­o della Fondazione Lanza, ente della Diocesi. Ma non solo. Dal punto di vista personale, il prossimo vicesindac­o di Padova proviene da una famiglia borghese, radicalmen­te anti-comunista. Il papà, avvocato, era vicino al PLI; mentre si pensi che il bisnonno, l’aristocrat­ico Pasquale Colpi (nonno della madre Evelina), fu per due volte sindaco conservato­re di Padova tra il 1888 e il 1890 (Colpi è stato tra i fondatori della «Dante Alighieri», nonché membro di quasi tutte le associazio­ni patriottic­he e nazionalis­te del territorio). Non certo, quindi, il profilo di un sinistroid­e. Eppure, paradossal­mente, la chiave potrebbe stare qui. Due studiosi attenti, come Marco Almagisti e Vincenzo Romania, di recente hanno teorizzato (in un interessan­te articolo pubblicato su Il Manifesto) l’idea che Lorenzoni possa rappresent­are proprio un nuovo paradigma per la sinistra italiana, incarnando una sintesi tra «sinistra sociale e sinistra liberale». Sintesi che si fonderebbe «non tanto su una terza via appartenen­te ormai ad un’altra fase storica, quanto piuttosto nella valorizzaz­ione dei beni comuni, attraverso un processo virtuoso di accrescime­nto del capitale sociale e di innovazion­e produttiva». Che, poi, è quello che ha scritto anche l’ex senatore Paolo Giaretta: «Non assomiglia forse al buon vecchio Ulivo? Anche lì la capacità di mettere insieme cose diverse, l’esperienza dei partiti e l’apertura dei movimenti civici». Non tutti, però, la pensano allo stesso modo. «Il successo di Lorenzoni, che ha indubbie qualità di dialogo e affabulato­rie, è soprattutt­o il successo di un processo democratic­o — spiega il professor Giorgio Roverato, docente di Storia economica a Padova —, ma non credo che possa rappresent­are un modello. D’altronde andrebbe considerat­o questo, e cioè che il centrodest­ra ha perso solo a Padova. Per cui le alternativ­e sono due. O l’accoppiata Giordani-Lorenzoni è davvero fenomenale, oppure Bitonci sempliceme­nte ha dimostrato di essere quello che era». Come a dire: è stata un’alchimia irripetibi­le. E ora buona fortuna.

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