Azionista tenta il suicidio in filiale I timori del sindaco di Montebelluna
Veneto Banca, cinque ore per scongiurare la tragedia. Il nodo dell’interlocutore
Pomeriggio di un giorno da cani, in una banca dove non c’è una lira da rubare, dove i rapinatori sono i rapinati e gli ostaggi si sequestrano da soli, dove si minaccia il suicidio e, intanto che si tratta, a qualcuno scappa da ridere. C’erano le ambulanze, i curiosi e un’aria da cronaca nera. E pensare che io ero andato in banca per aprire un conto. Mica sul serio, per finta e tigna giornalistica, solo per vedere la faccia della cassiera della sede centrale di Veneto Banca di fronte ad un cliente che dichiarava di volerle portare i soldi il giorno in cui tutti gli altri clienti scappano e la banca è tecnicamente fallita, venduta per un euro al nuovo padrone.
Dovevo capirlo che qualcosa non andava, la cassiera aveva la faccia terrea e nessuna voglia di scherzare, sulle scale interne quattro carabinieri montavano la guardia e tutti – impiegati e uscieri - facevano finta di lavorare in un modo che nemmeno Sidney Lumet avrebbe saputo fare meglio. Anche la cassiera fingeva, fingeva che non fosse successo niente. Quelli erano gli ordini probabilmente.
E invece il dramma era in corso, due piani più in alto, nella stanza del direttore. Alle 11, tal Mara Fagan, cittadina di Montebelluna si presentava in banca con il fratello Claudio e chiedeva di essere ricevuta dal direttore. Il fratello non è nuovo a imprese di quel genere, tempo fa minacciò il suicidio nella sede centrale di Signoressa, ma va a sapere. Li accompagnava Walter Baseggio, presidente del Centro di Soccorso dei Risparmiatori, quello di don Torta e già qui il funzionario avrebbe dovuto sospettare qualcosa. La signora Fagan, una volta accomodatasi, all’esterrefatto direttore che le stava davanti ha chiesto indietro un milione e 200 mila euro (circa, la cifra esatta varia al variare delle voci, qualcuno la alza a un milione e mezzo), tutte azioni di Veneto Banca che la signora e il fratello avevano comprato quando Consoli era in alto e che avevano continuato a comperare quando non valevano più niente.
«Adesso mi ridate i soldi che mi avete rubato», ha esclamato la donna. Il direttore, dalla prima mattina non più direttore di niente, ha provato a temporeggiare per quanto poteva, poi, messo alle strette, ha pensato di chiedere aiuto ai liquidatori della banca – gli uomini più vicini al nuovo proprietario Intesa San Paolo – e quattro di loro, in effetti, sono comparsi nel suo ufficio. «Ci dispiace signora, nemmeno noi possiamo farci qualcosa».
Così è andata. Come uno che va all’osteria da una vita e una mattina, dietro al bancone, non trova più il solito oste ma la faccia di un estraneo che gli dice: io non la conosco e non so cosa beveva prima, non so neanche quanto avanza, per me lei è come fosse entrato per la prima volta.
La richiesta del milione e passa è stata ripetuta, all’ennesimo diniego la signora Fagan ha aperto la borsetta e ha tirato fuori la siringa di insulina. «L’ho vista bene perché ero a pochi metri da lei - racconta Walter Baseggio – se l’è piantata nel braccio e se l’è iniettata, non tutta, credo, è svenuta prima. A quella vista anche il fratello è stato male ed è caduto per terra». I carabinieri sono stati i primi ad arrivare, forse perché erano già lì allertati come si usa in casi come questi di turbativa dell’ordine pubblico. E che turbativa: da Montebelluna a Vicenza, passando per le mille filiali sparse per il Veneto, ieri 26 giugno, due rinomate banche chiudevano bottega per riaprirla con un’altra insegna, Intesa San Paolo. Le vecchie erano ancora lì, con l’oro della Veneta che splende un po’ meno e la muffa che cresce su quella plafonata di Vicenza, ma sotto niente era più come prima: nuove regole, nuove condizioni e, soprattutto, cari clienti, non vi conosco. Il sindaco di Montebelluna, Marzio Favero, accorso al pari degli altri e coinvolto nella trattativa la racconta come una pietra tombale: «Sugli azionisti è calata la scure dell’indifferenza, la good bank non sa cosa farsene dei vecchi soci, per Intesa San Paolo costoro non sono interlocutori».
Così diceva ai cronisti, alle 15 e 42, dopo oltre cinque ore di suspence, quando i fratelli Fagan – sospesi tra farsa e tragedia - si sono arresi e, imbragati sulle lettighe, li hanno caricati su un’ambulanza e portati
via, la donna in ospedale per accertamenti, lui in caserma. Dovranno rispondere di procurato allarme. Non doveva andare così, nemmeno Walter Baseggio aveva previsto la siringa di insulina, c’era una cosa clamorosa da fare e un copione da seguire forse, fatto sta che il dramma ha coinciso con la rappresentazione e il suicidio della signora Mara ha rischiato di essere vero, lo sa solo il medico che l’ha assistita in una banca trasformata per cinque ore in un’astanteria. Veri erano i soldi che i fratelli Fagan hanno perso. Claudio, ex insegnate di educazione fisica all’istituto Dante, ci aveva messo i suoi e a Consoli aveva portato anche quelli dei suoi amici. «Non è il colpo di testa di un matto, come lui e la sorella sono in migliaia» avverte Baseggio che ieri era molto turbato per aver assistito e in qualche modo favorito il dramma. Dalle tasche dei veneti sono spariti 23 miliardi di euro, 220 mila piccoli azionisti sono stati privati dei loro risparmi. Per la psicologa Vera Slepoj i nostri conterranei non hanno ancora elaborato il lutto della povertà e perciò sono soggetti a rischio, non come i capitalisti che volavano giù dalle torri di Wall Street del 1929 e nemmeno come i poveracci che facevano la file per il pane a Weimar, sono qualcosa di diverso e di più, erano le vertebre della nostra ossatura economico-sociale.
A proposito, l’ultimo conto aperto a Veneto Banca risale a venerdì scorso, l’ultimo nella vicina Popolare al 21 giugno. Un signore che non ha conti nelle due banche, ieri girava mostrando due euro nella mano: «Guardate – diceva beffardo – sono proprietario di quattro banche».
L’azionista Ho perso un milione di euro, avete il dovere di restituirlo Il sindaco Good bank indifferente ai vecchi azionisti, non è colpo di matto