AZIENDE AGLI STRANIERI, SÌ A PATTO CHE
Tanto per cominciare, bisogna sfatare il luogo comune che scatta tutte le volte che un’impresa passa in mani straniere: «Ecco, vedete, il Nordest è in svendita». Spesso e volentieri non è così. Il punto è che le eccellenze nordestine (e sono numerose) fanno gola ai cinque continenti. Di fronte ai capitali i confini non reggono. È la prima legge della globalizzazione. Insomma, sarà pur vero che il Nordest è terreno di conquista, ma la ragione è molto semplice: qui c’è roba buona. La conferma arriva dall’ultimo rapporto sulle acquisizioni e fusioni pubblicato dalla Kpmg, colosso della consulenza. Dal 2011 a oggi, 299 imprese del Nordest sono finite sotto il controllo di società estere o nel portafoglio di aziende con sede in altre regioni italiane, per un valore complessivo di 15,7 miliardi. Sia chiaro, c’è anche un Triveneto che compra: 87 acquisizioni portate a termine oltreconfine, per un totale di 4,4 miliardi. Ma il dibattito, ovviamente, è interamente focalizzato sulle operazioni in uscita. Andando indietro nel tempo, ce n’è per tutti i gusti. Nel fashion: da Bottega Veneta, finita ai francesi, a Pal Zileri, approdata a un fondo del Qatar. Nella meccanica: basti pensare al passaggio di Del Clima (De Longhi) a Mitsubishi o alla Acc battente bandiera cinese. Persino nel vino: Mionetto e Ruggeri diventate tedesche, Contarini ceduta ai russi. Per non parlare dell’occhialeria: prima Safilo agli olandesi di Hal Holding, adesso la megafusione di Luxottica con la transalpina Essilor.