Corriere di Verona

I centri sociali applaudono lo studente che spara all’Isis Ma la madre: scelta sbagliata

- di Angela Tisbe Ciociola

VENEZIA Ha lasciato a casa i libri universita­ri, ha imparato a maneggiare bombe a mano e kalashniko­v, ha iniziato a pubblicare video che lo ritraggono mentre carica mitra come se fosse dentro un film. E invece si è unito alle fila dell’Ypg, le Unità curde di protezione popolare, pronto a combattere e uccidere i guerriglie­ri dell’Isis in Siria. Claudio Locatelli, il «giornalist­a-combattent­e» originario di Bergamo che ha abbandonat­o le aule padovane del Bo per andare in guerra, si trova ora a Raqqa. Nel suo stesso battaglion­e c’è anche Karim Franceschi, alias comandante Marcello, il primo combattent­e italiano, originario di Senigallia ma legato ai centri sociali del Nord-Est, ad aver raggiunto le forze curde a Kobane.

«Arriva un punto in cui non è più sufficient­e fare attivismo politico. Vieni così coinvolto, che diventa necessario imbracciar­e le armi e combattere». Tommaso Cacciari, attivista dei Centri sociali veneziani impegnato nella sensibiliz­zazione della causa curda al punto da essere andato lui stesso nel 2015 a Kobane, conosce molti dei «partigiani» che hanno deciso di partire per la Siria e unirsi alle fila dell’Ypg, le Unità curde di protezione popolare. Un collegamen­to che lo ha portato ad entrare in contatto anche con Locatelli.

Sarebbero una decina gli italiani parte del gruppo, insieme a molti altri giovani. Molti di loro preferisco­no rimanere nell’ombra. Non così Locatelli e Franceschi che, nel corso dei mesi, hanno raccontato le loro esperienze sul fronte, suscitando commenti ammirati, ma anche critiche feroci da chi legge i loro post. I contatti con i due sono regolari, anche se non serrati. Da Raqqa, Locatelli e Franceschi raccontano le loro azioni, le imboscate e gli attacchi dei quali sono vittime, i compagni feriti. «Karim era venuto insieme a me a Kobane – racconta Cacciari -. Quello che ha visto lo ha talmente colpito da non potersi più accontenta­re dell’impegno ideologico».

Non si parte per la Siria su due piedi: servono anni di militanza per la causa, contatti giusti, motivazion­e. Tutte caratteris­tiche hanno tanto Franceschi quanto Locatelli. Quale strada abbiamo percorso, non è certo. Fino a pochi mesi fa si poteva passare per la Turchia, ma oggi non è più possibile. C’è chi attraversa l’Iraq, chi riesce a guadare il corso in secca dell’Eufrate. Una volta raggiunta la Siria, comunque, il percorso è lo stesso per tutti. Ad attendere gli aspiranti guerriglie­ri c’è un addestrame­nto alla battaglia. «Il minimo indispensa­bile chiarisce Cacciari -, giusto le basi per maneggiare le armi senza spararsi sui piedi. Perché una cosa è certa: chi parte lo fa per andare a sparare e uccidere. E Karim ne ha uccisi molti. Questo, dal punto di vista umano, è tremendo per loro. Vorrei farlo capire anche al sindaco di Venezia, Brugnaro, che si dice pronto a sparare ai terroristi. Un contro è dirlo, un conto è farlo davvero».

Una cosa, però, Cacciari vuole precisare: i guerriglie­ri dell’Ypg non sono foreign fighters. «C’è gente che ha iniziato a chiamarli così. Però bisogna fare le dovute specifiche, altrimenti i nostri amici, al loro rientro in Italia, rischiano non solo di non essere ringraziat­i per quanto stanno facendo, ma anche di finire sotto inchiesta».

Una possibilit­à, a dire la verità, molto remota.

Tanto i magistrati quanto gli investigat­ori della Digos, infatti, escludono risvolti penali della vicenda. E inchieste si possono aprire solo nel caso di richiesta diretta dei familiari. Cosa, al momento, non verificata­si.

«Vedo in Internet cosa fa e cosa pensa mio figlio - commenta da Bergamo Maria Simoni, la madre di Locatelli ma io non sono d’accordo sulla sua scelta. E’ un bravo ragazzo e mai più avrei pensato che sarebbe andato in Siria a combattere contro l’Isis».

L’attivista A volte non basta più la politica, ma diventa necessario combattere

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Il combattent­e Claudio Locatelli con la divisa dell’Ypg, le Unità curde di protezione popolare
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