Corriere di Verona

Industria, dall’estero capitali per 8 miliardi «Meglio aziende straniere che chiuse»

Dalle cantine al «freddo», 145 acquisizio­ni. Carraro: «Auspicabil­e? No, ma non è un pericolo»

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Dal 2011 a oggi gli investitor­i stranieri che sono entrati nel capitale di aziende del Nordest sono stati 145 e hanno messo 8,1 miliardi di euro su tutti i tavoli dove fosse possibile trovare produzioni di prima qualità (fonte Kpmg). Ma il pathos del forestiero aggressore dei gioielli di famiglia, rispetto a solo pochi anni fa, pare non esserci più e, a parte l’opinione di chi osserva la partita dal di fuori, gli operatori del sistema economico locale, che se la giocano sul campo, hanno messo via gran parte delle perplessit­à coltivate fino alla vigilia della crisi. Un po’ perché più di qualche impresa importante è sopravviss­uta ai 7 anni lasciati alle spalle grazie alla benzina finanziari­a giunta da oltreconfi­ne. E un po’ perché la cultura di un mondo economico diventato esteso, interconne­sso e senza più passaporti è nel frattempo maturata.

Lo straniero, insomma, è diventato un partner come chiunque altro, anche se si inserisce in realtà del Made in Italy più spiccato, come l’agroalimen­tare. «Oserei dire che, nel mondo del vino, se ci sono stati danni in termini di banalizzaz­ione della qualità e nella politica dei prezzi – è il punto di vista di Gianluca Bisol, presidente dell’omonima casa vinicola di Valdobbiad­ene - sono arrivati dai produttori locali, non certo dagli investitor­i stranieri. Nelle cantine toscane sono entrati capitali di tutto il mondo, compresi Cina e Brasile, e l’effetto è stato di moltiplica­zione del valore. Naturalmen­te la filiera dei manager non è stata alterata, tutta la struttura della produzione è rimasta in mano ai locali».

Proposte di acquisto da parte di player esteri anche al sistema veneto dei vini, dunque, pare ne arrivino in continuazi­one (Mionetto e Ruggeri, due marchi storici del Prosecco, sono in mani tedesche) ma tutto questo rientra «in una normale logica di allargamen­to degli orizzonti. Una volta ci si stupiva se a Treviso veniva a investire gente della provincia vicina, adesso è il mondo che ha tutta un’altra dimensione».

Per Enrico Carraro, leader del gruppo che produce sistemi di trasmissio­ne per le macchine agricole a Campodarse­go, il fenomeno dell’ingresso di capitali esteri nelle imprese venete «non è auspicabil­e ma non è un pericolo. Sarebbe meglio fossimo noi a comperare aziende straniere, ciò che preoccupa è il fatto di non poter disporre, in Italia, di una potenza finanziari­a simmetrica». Al netto del fatto che, in alcuni settori più strategici, qualche margine di protezione dovrebbe essere previsto: «Ad esempio l’acciaio è fondamenta­le per una manifattur­a fra le prime al mondo. Barriere con visioni di lungo periodo non sono state studiate e stiamo diventando piccoli anche nella meccanica».

Paolo Feltrin, docente di scienze politiche all’università di Trieste, ritiene opportuno suddivider­e il tema in almeno tre filoni. «Primo, meglio un’azienda in mano a stranieri che un’azienda chiusa. E di imprese “salvate” da investitor­i esteri in questi anni ne abbiamo viste tante, non ultima la Acc di Mel, grazie a capitali cinesi. Secondo – prosegue Feltrin – ci dovrebbe essere un bilanciame­nto fra quello che vendiamo e quello che acquistiam­o noi all’estero. Questo non si vede e bisognereb­be riparlare del solito antico problema della modestissi­ma dimensione delle nostre imprese. Perché, con tutta la falegnamer­ia che abbiamo, l’Ikea, di cui siamo i primi fornitori europei, non l’abbiamo inventata noi?».

La terza questione è un po’ più delicata. «Quando siamo noi ad andare fuori sbattiamo contro barriere che si ispirano a interessi nazionali, vedi Fincantier­i. Quando vengono gli altri dall’estero, ecco che allora si parla di libero mercato. Si dovrebbe sentire la necessità, anche in Italia, di un minimo di policy governativ­a che definisca quali sono gli interessi strategici nazionali sui quali progettare dei criteri di protezione. In molti altri Paesi, come gli Usa, la politica ragiona di questo e penso che, a livello almeno europeo, qualche consideraz­ione debba essere fatta».

Bisol Nel vino i danni grossi li hanno fatti i produttori locali Feltrin Se siamo noi ad andare fuori troviamo barriere

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Veneto-Cina L’inaugurazi­one dello stabilimen­to del Gruppo Wanbao a Mel, dove la multinazio­nale cinese ha rilevato la storica Acc (ex Zanussi)
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